Repubblica 11.4.16
È nascosto ma è ovunque, ode all’enigma dell’esagono
Dagli
alveari al modo di accatastare le arance al Nobel per il grafene Così
la “congettura di Keplero” è diventata un rebus matematico Anche in
spazi pluridimensionali
di Piergiorgio Odifreddi
Natale del
1611. L’astronomo Giovanni Keplero guarda dalla finestra la neve che
scende, e che quella notte gli impedirà di osservare il cielo stellato.
Il suo sguardo, abituato a distinguere a occhio nudo le minime
variazioni nei puntini luminosi delle stelle, nota che i fiocchi che si
depositano sui vetri sono tutti diversi tra loro. Dunque, i cristalli di
neve non si assomigliano affatto l’un l’altro, come le gocce d’acqua da
cui si sono formati: al contrario, ciascuno di essi ha la propria forma
individuale. E a questa prima sorpresa se ne aggiunge una seconda:
tutti i fiocchi hanno in comune una simmetria esagonale, come se
appartenessero a un’unica galassia di stelle a sei punte, infinitamente
variegate. Keplero capisce che dietro questa curiosità artistica si
nasconde un mistero scientifico. Per fissare le idee compone all’istante
una Strenna sulla neve esagonale e la manda come regalo di capodanno a
un barone, suo amico e protettore. E in essa nota che la simmetria
esagonale non è affatto confinata ai fiocchi di neve: al contrario, a
ben pensarci, sembra essere ubiqua nel mondo della Natura.
Già gli
antichi avevano notato che anche le celle degli alveari sono esagonali,
ma Keplero prova a immaginare come le api possano costruirle. Senza
fantasticare su una loro improbabile abilità matematica, come aveva
fatto più di un millennio prima Pappo di Alessandria, l’astronomo cerca
di simulare l’indefesso lavoro delle api stipando il maggior numero di
monete uguali una vicino all’altra. E si accorge che se si dispongono
ordinatamente le monete a scacchiera, su righe e colonne perpendicolari
fra loro, si lascia molto spazio libero fra esse. Se invece di
accomodano attorno a ciascuna moneta altre sei monete in circolo, si
lascia molto meno spazio libero. I centri di sei monete disposte attorno
a una moneta centrale formano un esagono, e l’alveare è dunque
costruito come una griglia esagonale. Keplero si domanda se ci siano
altre griglie più efficienti, o se invece le api abbiano istintivamente
scoperto la migliore possibile. Lui immagina che sia effettivamente
così, ma bisognerà aspettare il 1831 e il tedesco Carl Gauss per avere
una dimostrazione matematica che quella esagonale è la griglia migliore.
E bisognerà addirittura aspettare il 1892 e il norvegese Alex Thue per
avere una dimostrazione matematica che quella esagonale è la migliore
disposizione in assoluto, non soltanto fra le griglie regolari. Questo è
un ottimo esempio di ciò che succede spesso in matematica: un problema
può essere facile da enunciare, e la soluzione può persino essere facile
da intuire, ma la dimostrazione può essere terribilmente difficile da
trovare. Anzi, nel 1936 il logico Kurt Gödel ha dimostrato che i teoremi
“facili da enunciare e difficili da dimostrare” sono la norma, più che
l’eccezione. I fiori variopinti che stanno a portata di mano nel
giardino della matematica sono dunque pochi, e gli altri vanno cercati
nei boschi incolti più fuori mano. L’esempio più noto di queste
escursioni fuori pista è il famoso “ultimo teorema di Pierre de Fermat”,
che fu da lui congetturato nel 1637 e dimostrato da Andrew Wiles più di
350 anni dopo, nel 1995. Ma nella sua Strenna natalizia Keplero fece
ancora meglio, proponendo prima di Fermat un problema che fu risolto
dopo il suo, con una ricerca di 400 anni. Il problema riguardava non le
api reali, ma i falchi metaforici: cioè i guerrafondai che si
preoccupavano di caricare il maggior numero possibile di palle da
cannone sulle navi da guerra dell’epoca.
Nel 1600 il navigatore
Walter Raleigh, organizzatore delle spedizioni dalle quali nacque
l’imperialismo coloniale inglese, propose al matematico Thomas Harriot
di risolvere al meglio il problema dell’accatastamento delle palle. E
questi lo passò appunto a Keplero, che nella Strenna lo collegò a quello
degli alveari, notando che si tratta dello stesso problema con una
dimensione in più: letteralmente, nel senso che si passa dal piano
bidimensionale delle monete allo spazio tridimensionale delle palle, e
metaforicamente, nel senso che la difficoltà è molto maggiore. Il
collegamento fra i due problemi sta nel fatto che per ammucchiare le
palle da cannone si deve partire da un primo strato, e il modo migliore
per disporlo sembra essere lo stesso delle monete: cioè, sei palle
disposte ad esagono attorno a ciascuna palla. Quanto agli strati
successivi, sembra più sensato disporre le palle nei buchi lasciati
liberi da quelle dello strato precedente, che non cercare di impilarle
ordinatamente una sull’altra in colonne rettilinee. Il risul- tato è una
serie di strati a simmetria esagonale, ma sfalsati l’uno rispetto
all’altro. Per intuire la soluzione non ci voleva un matematico:
d’altronde, anche al mercato i fruttivendoli dispongono da sempre le
arance sui banchi in quel modo. Ma ci voleva un matematico per supporre
che quello fosse il miglior modo possibile, in quella che divenne
appunto nota come la “congettura di Keplero”. La dimostrazione arrivò
soltanto nel 1998, quando Thomas Hales la pubblicò in un lavoro di 250
pagine, a cui era accluso un programma di computer da 3 gigabytes. Il
numero dei casi che la dimostrazione lasciava da verificare era infatti
così elevato, che l’unico modo per controllarli tutti era appunto di
farsi aiutare da una macchina.
Non si trattava del primo caso di una
dimostrazione interattiva, in parte umana e in parte meccanica. La prima
della storia era stata quella del “teorema dei quattro colori”,
ottenuta nel 1976 da Kenneth Appel e Wolfgang Haken. In quel caso si
trattava di far vedere che quattro colori sono sufficienti per colorare
qualunque carta geografica, in modo tale da non usare colori diversi per
stati confinanti. E la dimostrazione riduceva i casi possibili a un
numero enorme, ciascuno dei quali venne poi esaminato da un computer. Da
allora si capì che uno dei modi in cui un teorema poteva essere “facile
da enunciare ma difficile da dimostrare”, era appunto che non c’erano
dimostrazioni corte, a misura d’uomo. Un altro modo era invece che, una
volta esaurita l’intuizione tridimensionale concessa ai nostri sensi,
bisognava inventare qualche “occhio artificiale” per vedere cosa succede
in altre dimensioni. Una curiosità non oziosa, visto che il problema di
Keplero in dimensioni quali 8 o 24 ha inaspettate connessioni con la
trasmissione dei messaggi, la compressione dei dati e la correzione
degli errori. E la soluzione di questo problema è stata ottenuta solo lo
scorso mese, il 14 marzo, da una giovane ucraina di nome Maryna
Viazovska.
Quanto agli esagoni, si sono rivelati essere anche più
ubiqui di quanto Keplero avesse immaginato. Ad esempio, il grafene è
costituito da uno strato di atomi di carbonio disposti a nido d’ape,
come le celle degli alveari. E la grafite, di cui sono fatte le mine
delle matite, è costituita da strati di grafene sfalsati gli uni
rispetto agli altri, come i mucchi di arance al mercato.
Nel 2010
Andre Geim e Konstantin Novoselov sono riusciti a isolare un singolo
strato di grafene dalla grafite, usando ripetutamente del nastro adesivo
per separare fra loro strati sempre più sottili. Sembra un gioco
infantile, eppure è valso loro il premio Nobel per la fisica nel 2010,
perché il grafene è un materiale sottilissimo, dello spessore di un solo
atomo, ma molto resistente, per la sua struttura esagonale. Un piccolo
passo per la geometria, rispetto ai fiocchi di neve e agli alveari, ma
un passo da gigante per la (nano)tecnologia, rispetto alle mine delle
matite o alle palle di cannone.