La Stampa 9.4.16
Consigli al continente sotto attacco
di Abraham B. Yehoshua
Il
direttore de «La Stampa» mi ha telefonato per chiedermi di scrivere un
articolo o, secondo la sua definizione, una «lettera» che contenga
qualche consiglio o suggerimento per l’Europa in crisi dopo i recenti
attentati terroristici e per l’ininterrotto flusso di profughi
musulmani.
Non è strano, ho detto, che lei chieda a un israeliano
di dare consigli agli europei per la loro scomoda situazione? Dopo tutto
la nostra esistenza e la nostra identità sono sotto attacco, sia da
parte di sunniti sia di sciiti. Noi ebrei israeliani siamo ancora
bersaglio dell’antisemitismo di matrice cristiana e il nostro Paese è
spesso oggetto delle critiche (talvolta peraltro giustificate) di
politici liberali. E come potrei io, che capisco sempre meno e sono
sempre meno in grado di spiegare l’estremismo nazionalista dei miei
connazionali, dare un consiglio o essere di conforto per l’Europa?
Sarebbe come se, per usare una metafora, un malato cronico e pieno di
acciacchi desse consigli ad altri malati.
Ma il direttore non si è
convinto. Probabilmente, e in maniera assurda, crede che talvolta un
malato cronico, un vecchio paziente di questo nosocomio denominato
«umanità», abbia qualcosa di originale e di insolito da suggerire.
Quindi, su sua richiesta, annoto qualche riflessione su questi momenti
di crisi.
In primo luogo, e forse vi sorprenderà, vorrei
rivolgermi a chi la pensa come me, ai miei compagni di ideologia
socialdemocratica e liberale (soprattutto ai più radicali fra loro) che,
a causa di posizioni costantemente critiche nei confronti del regime
capitalista, potrebbero addurre spiegazioni assurde o fantasiose
auto-accuse a giustificazione del terrorismo islamico. Come se il
colonialismo occidentale in Medio Oriente nel XIX secolo e nella prima
metà del XX o un ingiusto trattamento degli immigrati musulmani fossero
tra le ragioni degli spietati atti terroristici perpetrati in Europa.
Quindi,
per evitare che liberali estremisti si addossino colpe presunte -
passate o presenti -, dobbiamo approfondire e scoprire le radici
storiche, sociologiche e religiose dei movimenti oltranzisti islamici la
cui lotta, rivoluzionaria e brutale, avviene principalmente all’interno
del mondo islamico e non in Europa. Il sogno di un califfato islamico
sunnita che abolisca gli Stati musulmani e riporti in vita una mitica e
romantica epoca medioevale si è trasformato in una realtà brutale e
omicida, soprattutto nei confronti degli stessi musulmani: sciiti,
sunniti, curdi e turchi. L’Occidente non è la ragione, né è parte in
causa, di questa terribile ideologia che cerca di imporre la supremazia
dell’Islam salafita su qualunque altra religione o professione di fede. È
vero che l’Isis o suoi simili non detengono nemmeno l’uno per cento
della forza posseduta a suo tempo dalla Germania nazista, ma nei loro
atti terroristici si ravvisa la medesima, folle sicurezza nella propria
sostanziale superiorità.
L’Occidente quindi, e in particolare
l’Europa, dovrebbero comprendere che questa è una guerra giusta e morale
contro il male e l’ingiustizia assoluti e non mostrarsi indecisi
cercando giustificazioni e scusanti a questo fenomeno. Giustificazioni e
scusanti non farebbero che indebolire la determinazione e l’efficacia
della lotta. Occorre inoltre accettare l’idea che una ferma opposizione
al terrorismo sarebbe vantaggiosa anche per i cittadini musulmani dei
Paesi europei e andrebbe perciò fatto un particolare sforzo ideologico e
organizzativo per aggregarli efficacemente a questa battaglia. È
necessario compiere un grosso lavoro sul piano ideologico, religioso e
sociale per strappare i musulmani alla loro passività fatalista nella
quale talvolta, soprattutto nel caso di giovani disoccupati e alienati,
brulicano sentimenti di simpatia e ammirazione per i folli atti
terroristici. Questo terrorismo islamico, sviluppatosi in parte
all’interno delle comunità islamiche europee, è un’arma a doppio taglio
che, in ultima analisi danneggia i musulmani e indebolisce la loro
posizione. Solo grazie a un’attiva collaborazione con le istituzioni il
male e la follia germogliati nelle loro comunità potranno essere
efficacemente debellati. Occorre dunque incoraggiare i musulmani a
unirsi alle forze di sicurezza, alla polizia, ai servizi segreti, alle
guardie di confine e a tutte quelle componenti della società civile che
combattono in prima linea contro il terrorismo. E, allo stesso modo, si
devono convincere le guide spirituali musulmane a denunciare il
terrorismo su un piano ideologico e morale. È vero, non sarà facile
instaurare un clima di fiducia reciproca, ma la cosa è possibile.
Dopo
i tragici eventi di Bruxelles sono andato a fare benzina a un
distributore vicino a casa mia dove lavora un giovane arabo con cui ogni
tanto mi capita di chiacchierare. Gli ho chiesto cosa ne pensasse di
ciò che era successo e poi ho aggiunto: «Sono sicuro che il novanta per
cento dei musulmani qui in Israele e in Europa condannano questo atto».
Lui mi ha subito interrotto: «Perché il novanta per cento? Dovrebbe dire
il novantanove per cento». «E allora perché ve ne state zitti?», ho
replicato io. «Come mai gli israeliani musulmani non condannano
fermamente queste atrocità? Dopo tutto qui in Israele voi non rischiate
nulla ad esprimere un parere». Lui ci ha pensato un po’ su e ha detto:
«Ha ragione, dovremmo condannare queste barbarie, ma non possediamo una
sufficiente libertà interiore per sentirci di condannare i nostri
correligionari».
Questo tipo di libertà interiore non nasce solo
da un senso di sicurezza esistenziale e ambientale. È una libertà
generata anche da un senso di sicurezza morale che consente di
distinguere chiaramente tra il bene e il male, senza confonderne i
confini. L’Europa dovrebbe quindi fare uno sforzo educativo e filosofico
per infondere questo sentimento nelle comunità musulmane.
In
fondo i migranti musulmani sono arrivati volontariamente in Europa,
nessuno li ha costretti a lasciare i loro Paesi. Forse non sono stati
accolti in maniera ottimale ma si tratta pur sempre di popolazioni di
non facile gestione, con un background culturale e religioso
profondamente diverso da quello europeo. Sono migranti arrivati in gran
parte a seguito di difficoltà economiche e il loro livello professionale
è per lo più basso. Non c’è ragione quindi che, al di là di lamentele
specifiche e conflitti locali, la popolazione musulmana in Europa non si
mostri fondamentalmente grata per essere stata accolta come cittadini
con pari diritti. Quindi, proprio in seguito ai brutali atti di
terrorismo che colpiscono tutti in maniera indiscriminata, gli europei
dovrebbero lanciare una sfida ai loro connazionali musulmani e
permettere loro di collaborare attivamente a questa lotta.