mercoledì 6 aprile 2016

La Stampa 6.4.16
Perché è giusto svelare i segreti
di Vladimiro Zagrebelsky

Quando c’è una fuga o, come ora si dice, «leak» di notizie è perché si tratta di notizie che sono segrete o che c’è chi ha interesse a tenerle segrete. L’ultima fuga, di una serie ormai nutrita, sollecita considerazioni generali che superano la pur importante occasione. E puntualmente l’articolo di Massimo Russo sul giornale di ieri segnala tanti aspetti delle fughe, di cui occorre tener conto per evitare di considerarsene beneficiari, essendo invece strumenti di disegni occulti. Occulti come i «segreti svelati». Occorre certo chiedersi a chi giova la fuga di notizie o, in generale, la pubblicazione di notizie. La risposta alla domanda, se è possibile, serve anche per farsi un’idea della credibilità della notizia. Ma spesso la notizia riflette fatti indiscutibilmente veri, anche se da interpretare. E l’interesse che l’uno o l’altro abbia a svelare il segreto non toglie valore informativo alla notizia sfuggita a chi la deteneva. E ciò tanto più per coloro che non abbiano motivo di parteggiare per chi si avvantaggia della pubblicità data o per chi godeva del segreto.
Tuttavia la domanda a chi giova la pubblicizzazione deve essere accompagnata da quella che chiede a chi giova il mantenimento del segreto. Spesso la risposta è semplice, quando il riferimento è a fatti criminali o altrimenti illeciti o invece a circostanze intime della vita individuale o familiare. Ma vi è tendenza a estendere oltre misura il diritto a mantenere segreti o riservati – come si preferisce dire – ogni genere di fatti e condotte. È il tema della «privacy». L’inglese, come una volta il latino, serve a dare autorevolezza e indiscutibilità a un concetto piuttosto indefinito. E nel discorso pubblico si va molto oltre quanto prevedono le leggi in materia.
La tirannia della trasparenza è denunciata da chi teme che venga travolta l’area di riservatezza indispensabile alla salvaguardia della dignità e della libertà della persona. Ma occorre definire quel nucleo insopprimibile e chiedersi se esso sia eguale per tutti o se vi siano restrizioni per chi esercita funzioni pubbliche o rappresentative, se il limite riguardi anche le condotte che concernono il rapporto con la società e lo Stato, come quelle fiscali, se il limite alla riservatezza riguardi non solo i fatti illeciti, ma anche quelli comunque incompatibili con i doveri propri del ruolo o dello stato professionale. Nella giurisprudenza europea la risposta è affermativa per tutti questi aspetti. I personaggi che sono in qualsiasi modo impegnati nella sfera pubblica sono soggetti a un tasso di pubblicità che la democrazia non richiede per le altre persone. I dati, che riflettono l’osservanza del fondamentale obbligo fiscale, hanno un interesse pubblico che supera quello privato individuale, tanto più quando riguardino persone dalle quali, per la loro ricchezza o posizione, è giusto esigerne il rigoroso adempimento.
Il segreto o riservatezza di informazioni riguardanti le persone è solitamente protetto da norme di legge o dalla imposizione contrattuale di particolari doveri per chi lavora in ambiti privati. È naturale che sia così, poiché spesso chi è interessato al segreto ha anche la forza di imporne le regole. Tuttavia nella società democratica, per consentirne il funzionamento con la formazione di un’opinione pubblica (e un elettorato) consapevole, deve poter operare chi professionalmente o occasionalmente cerca di superare e forzare i segreti. Trovare fonti disposte a correre i rischi derivanti dalla violazione, controllare ed elaborare i documenti e le notizie ottenute, in questo consiste il lavoro del giornalista d’inchiesta. La sua esperienza e correttezza professionale è l’indispensabile condizione perché l’interesse pubblico alla informazione sia adeguatamente soddisfatto e che la pretesa del segreto non sia abusiva.