La Stampa 2.4.16
Giudici di nuovo in campo. E ora la sfida è a Renzi
Le inchieste fecero cadere i governi di Berlusconi e Prodi
di Mattia Feltri
Ieri
Fabrizio Cicchitto ha detto apertamente quello che Matteo Renzi
sospetta e si limita a riferire a beneficio dei retroscena: «Bisogna
parlare di una bomba ad orologeria fatta esplodere con il meccanismo
procedurale della richiesta di custodie cautelari e la conseguente
pubblicità degli atti». E poi: «Non a caso questa richiesta è stata
avanzata adesso, indipendentemente dal fatto che l’indagine è stata
aperta nel 2014 e in questo modo si fa esplodere la bomba proprio alla
vigilia dei referendum di aprile». Il concetto di «giustizia a
orologeria» sembrava ormai fuori moda, almeno da quando il massimo
teorico, Silvio Berlusconi, occupa i margini della cronaca, compresa
quella giudiziaria. Ed è forse la prima volta che esponenti di una
maggioranza di centrosinistra - presidente del Consiglio compreso, e
nonostante Cicchitto venga dal centrodestra - si esprimono così
apertamente sui fini politici dell’azione giudiziaria.
Eppure
l’ultimo governo caduto per effetti penali è stato quello di Romano
Prodi nel 2008 (l’altro era quello di Berlusconi nel 1994). Ora è
preminente e comodissima la tesi secondo cui l’esecutivo era venuto giù
per la corruzione del senatore Sergio De Gregorio, passato con la Casa
delle libertà in cambio di finanziamenti e onori (e sempre che la teoria
regga ai tre gradi di giudizio); ma chiunque capirà il diverso peso
dell’uscita dalla maggioranza dell’Udeur di Clemente Mastella ministro
della Giustizia. La moglie Sandra Lonardo era stata arrestata e messa ai
domiciliari per una serie di accuse che otto anni dopo sono evaporate o
disperse, e Mastella, in lite con un molto turgido Antonio Di Pietro,
chiedeva a Prodi solidarietà. Fra i due, il Professore scelse
naturalmente l’alleato prossimo alla magistratura, e Mastella votò la
sfiducia.
È complicato sostenere che a Potenza coltivino progetti
politici e calibrino i tempi d’intervento, anche perché dell’inchiesta
in sé si è capito poco, nulla di quanti denari siano eventualmente
girati, in che cosa consistano gli atti corruttivi e se non siano
piuttosto di lobbying, ma tutto delle imbarazzanti implicazioni della
ministra Federica Guidi e del suo fidanzato. È uno schema abbastanza
ripetitivo. Pochi ricorderanno il nome di Ercole Incalza, nessuno i
contorni degli addebiti con cui la procura di Firenze lo ha arrestato un
anno fa, ma tutti del tracollo del ministero delle Infrastrutture retto
da Maurizio Lupi e di cui Incalza era altissimo dirigente. Poche
settimane fa Incalza è stato prosciolto nel disinteresse generale, e
alla fine l’azione della procura magari non aveva obiettivi politici ma
le conseguenze sono state tali, e gravi.
Dall’inizio della Seconda
repubblica la maggior causa di mortalità in politica è dipesa dalle
inchieste della magistratura, non sempre concluse con successo, spesso
con condanne decisamente ridimensionate rispetto ai presupposti, altre
volte con il trionfo pieno degli imputati (il caso di Calogero Mannino,
assolto dopo quattordici anni da accuse di mafia è il più notevole) e
viene in mente per esempio l’inchiesta Why Not di Luigi De Magistris
(allora sostituto procuratore proprio a Potenza), una specie di kolossal
giudiziario in cui era finito dentro chiunque, da Prodi in giù. Alla
fine i condannati saranno stati cinque o sei su una cinquantina, e il
pubblico ministero è stato premiato con la fama e l’elezione a sindaco
di Napoli. Dimostrare la premeditazione di De Magistris è impossibile e
inutile, però è dura trattenere il sospetto che tante inchieste contro
la politica (così scalcagnata da offrire occasioni a ripetizione)
dipendano almeno in parte dal rilievo che hanno in tv e sui giornali,
dalla reputazione che garantiscono, dall’assenza di conseguenze in caso
di errore, soprattutto dalla guerra fra politica e magistratura
cominciata con Mani pulite nel 1992, e davanti alla quale una classe
dirigente corrotta e squalificata, anche se ben oltre i suoi demeriti,
accettò di arretrare. Un regola classica delle dinamiche istituzionali
dice che un potere tende per sua natura ad espandersi: quello
giudiziario ha occupato lo spazio lasciato libero da esecutivo e
legislativo e, sempre per sua natura, non accetta di cederlo. Berlusconi
e Prodi, per motivi opposti, hanno perso la partita. Ora sembra volerla
riprendere Renzi, e promette di essere una partita avvincente.