La Stampa 20.4.16
Chi ha scritto le sue opere?
Un dubbio antico, ma infondato
Da
Marlowe a Bacone, tanti gli indiziati. Sulle sue tracce perfino un ex
agente della Cia. In realtà l’autore non può che essere lui
di Paolo Bertinetti
Cinque anni fa apparve sui nostri schermi un curioso film americano,
Anonymus,
diretto da Roland Emmerich, un regista specialista del genere
catastrofico. Il film racconta la vita romanzata di Edward de Vere,
diciassettesimo conte di Oxford, presentandolo come il vero autore delle
opere di Shakespeare. Questa teoria è tutt’altro che nuova: fu proposta
per la prima volta nel 1920 dallo scrittore J. Thomas Looney, ma è
stata ravvivata qualche anno fa da un agente della Cia andato in
pensione. Perché mai, si chiedeva l’ex agente segreto, l’antologia della
poesia inglese stampata dallo stesso editore che pubblicò il First
Folio, il volume di (quasi) tutte le opere di Shakespeare, contiene
diverse composizioni poetiche del conte di Oxford ma nessuna di
Shakespeare? Perché lui sapeva, questa sarebbe la spiegazione, che in
realtà era il conte di Oxford ad aver scritto le opere di Shakespeare,
che quindi sarebbe stato soltanto un prestanome.
Il fatto è che il
conte morì nel 1605, prima che Shakespeare scrivesse alcune delle sue
opere maggiori. Bisognerebbe allora pensare che in realtà il conte non
fosse morto, ma per misteriose ragioni si nascondesse in qualche luogo
segreto - continuando però a scrivere commedie e tragedie. Anche se
l’ipotesi sembra degna di quella su cui fantasticarono i fan di James
Dean, quest’idea sta alla base anche di una seconda teoria. Il vero
autore dei testi di Shakespeare sarebbe stato il grande drammaturgo
Christopher Marlowe. Il quale era anche un agente segreto di Sua Maestà,
ucciso in una rissa nel 1593. In realtà si sarebbe trattato di una
messinscena: lo scomodo Marlowe avrebbe continuato a vivere in
clandestinità, scrivendo i testi che Shakespeare firmava. E perché mai?
Un’altra
teoria vuole che l’autore vero sia stato Francis Bacon, filosofo e uomo
politico, che nei ritagli di tempo (si presume) avrebbe scritto Amleto,
Re Lear, Macbeth e Otello. Vecchia teoria, di recente abbandonata.
Un’altra ancora, abbastanza nuova, vuole invece che il vero autore fosse
John Florio, letterato e linguista eccelso. Questa teoria è stata però
rivista in un senso tutt’altro che peregrino: Florio sarebbe stato il
curatore del First Folio e a lui (che «inventò» più di 1200 parole
inglesi) si dovrebbero alcuni dei cambiamenti linguistici apportati ai
testi delle singole opere di Shakespeare pubblicate in precedenza.
Alcuni
dei maggiori studiosi di Shakespeare, ancora di recente, hanno ribadito
che tutte le varie teorie sono senza fondamento. Basti pensare a due
testimonianze indirette. Nel 1592 il drammaturgo Robert Greene si
scagliava contro Shakespeare, definendolo «quel corvo venuto dal niente»
che si faceva bello con le loro piume. Lo accusava cioè di copiare dai
lavori suoi e dei suoi illustri colleghi; di copiare, ma di essere lui
l’autore dei testi che andavano sotto il suo nome. Qualche anno dopo,
tuttavia, Shakespeare già riceveva il plauso e le lodi del fine
letterato Francis Meres, che nel suo «inventario» dei grandi autori
inglesi, Palladis Tamia, del 1598, lo salutava come eccellentissimo
autore di commedie e tragedie.
È ovvio che l’autore era lui. Nel
ristretto e pettegolo mondo dello spettacolo un simile segreto non
sarebbe durato più di un giorno. Il fatto è che, come il Robert Greene
laureato a Cambridge, molti non ammettono che uno che non aveva fatto
l’università potesse essere uno scrittore di tanta cultura e sapienza
linguistica. Nel suo caso era bastata la Grammar School, una «scuola
media» che valeva almeno un’odierna laurea in lettere classiche. Al
resto aveva provveduto il genio.
Paolo Bertinetti ha curato per Einaudi le traduzioni di «Amleto», «La tempesta» e, appena uscito, «Macbeth»