La Stampa 20.4.16
Senza incentivi il lavoro resta al palo
Da inizio anno crollano le assunzioni
In due mesi contratti fissi in calo del 74%. Riparte il precariato
di Walter Passerini
Ci
sono quelli che recitano il de profundis del Jobs act e ci sono altri
che cercano disperatamente le flebili luci nel buio dei numeri. I dati
di ieri dell’Osservatorio dell’Inps svelano le debolezze di un sistema
che sta pagando il colpo di frusta degli incentivi, il cui «décalage» è
aggravato dai ritardi nella creazione di un modello di servizi al lavoro
e di una rete, oltre che dalle attese di una ripresa troppo lenta a
manifestarsi. I segnali sono inequivocabili.
I numeri
Sul
breve il bimestre gennaio-febbraio del 2016 esce con le ossa rotte nel
confronto con gli stessi bimestri del 2015 e del 2014: il saldo tra
attivazioni e cessazioni è di 167 mila unità rispetto a 244 mila unità
nel 2015 e 195 mila nel 2014. Il tonfo è da attribuirsi ai rapporti a
tempo indeterminato, che registrano quest’anno un magro saldo di + 37
mila unità. Un peggioramento senza appello: si tratta di un -74%
rispetto ai +143.164 contratti dei primi due mesi del 2015. Se da una
visione di breve passiamo a una prospettiva annuale, le differenze sono
ancora più evidenti. Il saldo annualizzato (la differenza tra assunzioni
e cessazioni negli ultimi 12 mesi) a febbraio risulta positivo
(+529.000), ma inferiore rispetto al top registrato a dicembre
(+605.000). E’ il bradisismo dei contratti a tempo indeterminato, il cui
saldo annuo a dicembre 2015 segnava +911 mila unità e a febbraio 2016
+805 mila. La spinta propulsiva insomma è in via di esaurimento. Non per
un calo della domanda che non ha mai brillato, ma per la fine della
frustata degli incentivi.
Il nodo contributi
Bastino pochi
numeri. Nel 2015 le assunzioni a tempo indeterminato e le trasformazioni
che hanno goduto della decontribuzione sono state più di sei su dieci
(oltre 1,5 milioni su quasi 2,6 milioni del totale assunzioni, il 61%). E
a dicembre hanno raggiunto quasi le 400 mila unità: significa che le
imprese hanno anticipato in un mese le assunzioni che avrebbero potuto
spalmare più avanti; ma il passaggio tra il 2015 e il 2016 ha registrato
una drastica riduzione degli incentivi (da 8.060 euro per assunto a
3.250 euro, da un triennio a un biennio di validità), cambiando il
paesaggio e frenando la propensione ad assumere. Inutile perseverare nel
diabolico derby tra cantori e fustigatori degli incentivi: se non si
ricorre a provvedimenti strutturali anziché temporanei, nel luna park
del lavoro continueranno a primeggiare le montagne russe.
Il boom dei voucher
Due
altri segnali marchiano a chiaroscuro i dati dell’Inps: la minaccia
dello spettro del ritorno di forme di maggior precarietà (aumento per
quanto lieve di contratti a termine, part time involontari e voucher,
una locomotiva, questa, fuori controllo), compensato dal lieve
incremento delle retribuzioni medie per le assunzioni a tempo
indeterminato, con una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a
1.750 euro. La ripresa dell’occupazione non può più attendere. Gli
incentivi sono una farmaco salvavita dall’effetto variabile: al calare
delle dosi il paziente rischia il collasso.
Serve una rete
Ma
soprattutto la rapidità e l’efficacia vanno orientate alla costruzione
della rete: decollo operativo e non solo mediatico dell’Anpal,
rafforzamento dei centri pubblici per l’impiego, stretta
cooperazione-competizione tra pubblico e agenzie private. In attesa che
la ripresa dell’economia produca fiducia e variazioni del pil non più
solo da prefisso telefonico.