martedì 12 aprile 2016

La Stampa 12.4.16
Da villaggio di pescatori a megalopoli
La nuova Shenzhen nasce in Pakistan
Il progetto di Pechino: nuove infrastrutture per collegare la Cina con Gwadar, il porto del Belucistan che sbocca sul Mare Arabico in una posizione strategica
di Cecilia Attanasio Ghezzi


Dalla Spagna del XVI secolo in poi, ogni grande Paese ha sognato «un regno su cui non tramonta mai il sole». E fin da tempi ancor più antichi si era ben consapevoli che una maggiore estensione geografica significava dover costruire una rete di infrastrutture che avrebbero permesso di trasportare velocemente le merci e allo stesso tempo di controllare militarmente il territorio. Questo è il momento della Repubblica popolare. E i suoi progetti non sono meno ambiziosi.
Una nuova geopolitica
Con la scusa della nuova via della seta terrestre e marittima, la convinzione che ingenti investimenti possono portare quel benessere minimo necessario a pacificare aree difficili del mondo e la disponibilità finanziaria della seconda economia mondiale, la Cina sta costruendo ovunque porti, strade e ferrovie cercando di spostare gli equilibri geopolitici a suo vantaggio. L’esempio più attuale sono gli oltre 40 miliardi di euro promessi per il cosiddetto «corridoio economico sino-pachistano».
Verso il Medio Oriente
Il piano è collegare la regione più occidentale della Cina al porto pachistano di Gwadar attraverso tremila chilometri di autostrade, ferrovie e oleodotti. Un accesso al mare che potrebbe accorciare le distanze tra Repubblica popolare, Medio Oriente e Europa. L’effetto sperato è trasformare una cittadina da 80 mila abitanti in una metropoli da due milioni nei prossimi 20 anni. Gwadar è attualmente quello che si usa definire un villaggio di pescatori in una posizione strategica, ovvero nel punto dove il Golfo Persico incontra il Mare Arabico. Ma si trova in Belucistan, una delle regioni più instabili al mondo. È l’area più povera del Pakistan, ma al tempo stesso è la più ricca di risorse naturali. I separatisti accusano il governo di sfruttare le risorse della regione senza dare niente in cambio alla popolazione locale. Ma il progetto cinese - spiega Andrew Small, autore di «The China–Pakistan Axis» (Oxford University Press, 2015) - potrebbe riuscire a pacificare l’area. «Oggi è protetta dalla Divisione speciale di sicurezza pachistana e bisogna chiudere al pubblico tutte le strade quando passano i cinesi. Ma se il porto diventerà realtà e porterà benefici economici alla popolazione locale, la pericolosità dell’area dovrebbe diminuire».
I simboli del boom
I più ottimisti parlano già di una «nuova Shenzhen» in riferimento alla località simbolo del boom cinese: un villaggio di pescatori trasformato in una ricca megalopoli in appena trent’anni. Secondo un comunicato stampa del vice ministro della Camera di commercio sino-pachistana Naveed, il nuovo porto sarà capace di «attrarre il cinque per cento dei cargo cinesi ovvero un traffico da sei miliardi all’anno, novemila nuove aziende e 400 mila nuovi posti di lavoro». Gli storici abitanti, per lo più pescatori che vivevano sulla punta più estrema dell’istmo, sono stati ricollocati a 40 chilometri di distanza e ci si aspetta che la popolazione della città quintuplichi già nei prossimi cinque anni.
Le questioni da risolvere
Ma i problemi sono ancora tanti, fa notare Small. «La città non ha accesso all’acqua per diversi periodi dell’anno ed è ancora poco connessa con l’interno del Paese. Certo ci sono esempi di città che sono esplose dal nulla e sono state quasi sempre in corrispondenza di porti. Ma bisognerà aspettare che i nuovi investimenti diano vita alla seconda parte del porto per avere un’idea di come andrà a finire». Nel 2013 l’azienda statale Chinese Overseas Ports Holding Company ci ha investito 675 milioni e ha ottenuto la gestione esclusiva per 40 anni dei 2300 acri della zona economica speciale. Ma gli interessi su Gwadar non sono solo economici. «Anche se non è menzionato in nessuno dei documenti ufficiali, non è un segreto che sia i cinesi sia i pachistani vorrebbero che il porto diventi anche un punto di riferimento per le rispettive marine militari», riflette ancora Small. Un’osservazione importante. Soprattutto se si pensa che a dicembre 2015 l’India ha firmato un memorandum d’intesa per un progetto gemello a Chabahar, appena 72 chilometri più a Nord. Ma in Iran. È evidente che gli equilibri geopolitici stanno cambiando.