La Stampa 12.4.16
Dalla Consulta messaggio al governo
Grossi agli italiani: domenica votate
La partita sulla legge elettorale sarà apertissima
di Ugo Magri
Questa
Corte costituzionale non sarà, per Matteo Renzi, un interlocutore
facile. Quando si occuperà di legge elettorale, o delle altre
riforme-chiave del governo, lo farà con zero timore reverenziale e molta
autonomia nei confronti del premier. Il presidente Paolo Grossi ne ha
dato un saggio ieri, quando ha dichiarato in conferenza stampa che al
referendum sulle trivelle «si deve votare». Aggiungendo: recarsi alle
urne «fa parte della carta d’identità del buon cittadino». Per cui delle
due l’una: o Grossi ignora che Renzi punta domenica su condizioni meteo
tali da invogliare l’Italia ai primi tuffi in mare. Oppure lo sa, ma
non se ne cura affatto. Più credibile la seconda. Perché al cronista che
glielo ha chiesto avrebbe potuto tranquillamente ripetere quanto aveva
appena detto a proposito delle intercettazioni: «Pronunciarmi sarebbe
inopportuno e incauto». Invece sul diritto-dovere di voto ha voluto dire
la sua. Questo giurista fiorentino di anni 82, professore da 53, con
una proprietà lessicale d’altri tempi che lo porta a scrivere «intiero»
anziché «intero», e «ufficii» anziché «uffici», sul referendum non si è
tirato indietro e ha spiegato anzi che «è fatto per noi, per ognuno di
noi», dunque guai a disertarlo. Chissà come l’hanno presa a Palazzo
Chigi. Con entusiasmo, no di sicuro.
Idem quando Grosso ha parlato
dei giudici, un po’ per rampognarli e un po’ per difenderli. Li ha
trattati come somari nella ricca relazione sull’attività della Corte
illustrata davanti a Sergio Mattarella e a tutte le più alte cariche.
Parlano da soli i numeri, agghiaccianti: su 145 ricorsi sottoposti dai
tribunali alla Consulta nel corso del 2015, solo 38 sono stati
riconosciuti meritevoli. Altrettanti sono quelli dichiarati infondati,
10 i manifestamente infondati (cioè se ne sarebbe accorto anche un
bambino), 27 gli inammissibili e, in un crescendo che si commenta da sé,
41 quelli manifestamente inammissibili, cui si aggiungono 11
restituzioni degli atti al giudice di origine. Tutte bocciature dovute,
spiega con sadico puntiglio Grossi, al carattere «prematuro, astratto,
apodittico, generico, ipotetico, ambiguo, ancipite, alternativo, oscuro,
contraddittorio, incoerente, perplesso, indeterminato» delle questioni
sollevate dai giudici. Qualche renziano si spellerà le mani
nell’applauso; sbagliando, però, perché il presidente della Corte ha poi
specificato: la colpa non è delle toghe bensì dei loro ritmi di lavoro.
Vanno sempre di corsa e mancano del tempo per approfondire. Insomma,
guai a presentare i giudici come dei fannulloni.
Interrogato
sull’«Italicum», che secondo il premier è la madre di tutte le riforme,
Grosso ha piantato due interessanti paletti. Il primo: quando sarà il
momento, la legge elettorale verrà giudicata dalla Corte in base alla
sua «ragionevolezza» (stesso criterio con cui il «Porcellum» venne
bocciato). Secondo: la valutazione sulla costituzionalità sarà
collegiale, ciascuno dei 15 giudici avrà voce in capitolo. Insomma, una
partita apertissima. Sul piano politico, una mina vagante.