La Stampa 11.4.16
Regeni, in tv l’orgoglio dell’Egitto
“Le accuse dell’Italia ci offendono”
La crisi riaccende il nazionalismo del Cairo che fa quadrato intorno ad Al Sisi
di Francesca Paci
Ora
su Giulio Regeni il governo egiziano fa quadrato. Dopo le spiegazioni
ufficiali circa il ritorno anticipato degli inquirenti da Roma è il
momento dell’orgoglio nazionale. La controffensiva comunicativa ai
social network, decisi a brandire la vicenda del ricercatore friulano
massacrato al Cairo in funzione anti-regime, non si combatte tanto sui
giornali di Stato, che rivolgendosi a un pubblico alfabetizzato si
tengono un passo indietro dalla mischia, quanto in tv: mentre il
quotidiano «al Ahram» si attiene alle notizie delle agenzie
internazionali, gli anchorman chiamano il popolo alla difesa del Paese
sotto attacco.
«Non è vero che l’Italia ha chissà quali informazioni,
rilancia quello che gli passano i traditori egiziani», ripete dagli
studi dell’emittente «Sada al Balad» Ahmed Mousa, il giornalista
considerato vicino al ministero dell’Interno. Per ora i suoi strali non
sono diretti a Roma ma in casa, contro colleghi come Youssef Al Hossainy
di «OnTv», che dopo il sostegno iniziale al presidente al Sisi ha
assunto posizioni più critiche anche riferendosi alla vicenda del
ricercatore friulano, e contro Mona Saif, la sorella dell’attivista
incarcerato Alaa Abdel-Fattah che per prima ha tirato in ballo il nome
del generale Khaled Shalaby. Il portavoce del ministero degli Esteri
egiziano, Ahmed Abou Zeid, accusa invece l’Italia di «sfruttare il caso
Regeni per questioni interne».
Non che l’egiziano medio in queste ore
si precipiti a parlare delle relazioni diplomatiche con l’Italia: ha
ben altre gatte da pelare e poi, come ammette il tassista Hussein, «ci
dispiace per Regeni ma che dovremmo dire dei nostri tanti Regeni e per
quei cinque ammazzati come capro espiatorio dalla polizia». Il Cairo
però è una città la cui vita si dipana nei caffè dove c’è sempre una tv
accesa sulla partita di calcio o sul dibattito politico del momento. E
il dibattito politico del momento è la risposta alle «offese» di Roma.
«Sembra
di essere tornati ai tempi di Nasser, la difesa dell’Egitto e la
sbianchettatura dei crimini del regime viene prima di tutto anche a
costo di enfatizzare cose assurde come il rifiuto di consegnare
all’Italia i tabulati telefonici per rispetto della privacy», osserva un
intellettuale. Gira voce che il giornalista Ibrahim Issa, ex supporter
di al Sisi oggi risoluto sulla ricerca di verità per Regeni, sia agli
arresti domiciliari. Chi lo conosce smentisce, ma al Cairo le voci non
girano mai per caso.
Il tam tam è incessante. Dai microfoni di «Al
Kahera Wal Nas» Ossama Kamal si domanda come faccia l’Italia a fidarsi
di «retroscena non realistici», auspica che le autorità egiziane
forniscano presto le informazioni che scagionano il Paese «da queste
calunnie» e sibila l’ipotesi che «la campagna anti-Egitto abbia degli
obiettivi ben diversi dalla ricerca della verità». Su «Alassema» Azmi
Meghid è ancora più duro, associa la foto di Regeni a quella di una
ragazza velata, suggerisce una qualche conoscenza con la Fratellanza
Musulmana e accusa gli «anti-patrioti» di non chiedere conto a Roma dei
«tanti egiziani scomparsi in Italia». Conoscendo la disposizione
nazionale alla cospirazione non sorprende di trovare una coppia di
anziani a discutere del nazionalista-islamista «al Masreyoun» e della
teoria del professor Mohamed Hussein, secondo cui «l’Italia cerca
l’escalation perché voleva mandare le truppe in Libia attraverso
l’Egitto ma non è stata accontentata».
L’atmosfera è pesante. Anche
perché stabilire l’efficacia della propaganda all’interno di un regime
diviso è complicato. Ieri, oltre a Regeni, il Cairo discuteva di Sanafir
e Kiran, le isole che, con disappunto degli egiziani, il presidente al
Sisi avrebbe «regalato» all’Arabia Saudita nell’ambito dell’apparente
riavvicinamento tra i due Paesi. A criticarlo è intervenuto sul canale
«Dream» l’ex generale Abdel Monem Saiid, ex governatore del Sinai
meridionale e irriducibile nel rivendicare l’«egizianità» dei due
fazzoletti di terra. Anche l’esercito partecipa, in ordine sparso, alla
guerra sotterranea per l’etichetta di miglior nazionalista: in ballo c’è
la verità su Regeni ma anche il futuro dell’Egitto.