venerdì 15 aprile 2016

Il Sole 15.4.16
Londra. Discorso del leader laburista a favore della permanenza in Europa
Corbyn scende in campo contro il «partito» di Brexit
«Fuori dall’Europa a rischio le conquiste sociali più importanti»
di Leonardo Maisano

Londra «Se il Regno Unito lascerà l’Unione europea assisteremo all’ultimo falò dei diritti dei lavoratori». È immaginifico ed efficace, il leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn, nel tentativo di scuotere la folla della sinistra britannica e radunarla sotto le insegne dell’Ue. Soccorso rosso per il premier conservatore David Cameron in vistoso calo di consenso ? Qualcosa di simile, nella consapevolezza che è meglio scegliere insieme il terreno di scontro ideologico piuttosto che ritrovarsi isolati entro i confini degli scogli britannici e lontano dal continente.
Il discorso pronunciato ieri da Jeremy Corbyn a una manifestazione di partito è stato articolato e puntuale nel dire che se Londra si ritrovasse sola, il governo Tory, magari guidato dal sindaco uscente della capitale, l’euroscettico Boris Johnson e sostenuto dall’eurofobo Nigel Farage, «abbandonerebbe la parità salariale, il diritto al permesso sul lavoro e i benefici per la maternità». Un aspetto, quest’ultimo, sul quale Jeremy Corbyn non a caso ha insistito. Secondo le ricerche degli istituti di statistica, infatti, la maggior parte degli indecisi sono donne e quindi più sensibili ai diritti negati in caso di maternità.
La “sua” Europa deve essere, dunque, “sociale” e di vermiglio intenso, ma solidale abbastanza per creare un salario minimo uguale per tutti nell’Unione e capace di disincentivare la tentazione di imprenditori «senza scrupoli» determinati a tagliare le retribuzioni. Un’Europa capace di prevenire «il falò dei diritti dei lavoratori» a cui, a suo avviso, si dedicherebbero con rinnovato zelo i conservatori. Il leader laburista è sceso anche sul terreno scivoloso dell’immigrazione intraeuropea. «Non c’è niente di scandaloso se uomini e donne si muovono da un Paese all’altro in cerca di occupazione – ha detto – ma è necessario un level playing field con condizioni di lavoro e salari armonizzati».
L’appello di Jeremy Corbyn ai suoi è stato più deciso di quanto la storia dell’esponente Labour – moderatamente eurosospettoso per il modello eccessivamente liberista che a suo avviso regola l’Ue – lasciasse prevedere. Nessuna sorpresa, invece, per il pubblico endorsement firmato dal premier. David Cameron pur ammettendo di «essere in disaccordo su molti punti sollevati» dall’oppositore s’è complimentato per la discesa in campo a favore dell’Unione europea del numero uno laburista. Il motivo è evidente: senza i voti dell’elettorato Labour la Gran Bretagna voterebbe Brexit. Lo scetticismo verso le istituzioni comuni è fenomeno trasversale che taglia tutti in partiti, Verdi compresi, con la sola eccezione dei LiberalDemocratici, ma la massa critica dell’eurofobia è nelle fila del Tory party. La strategia stessa del premier nell’indire il referendum aveva come obiettivo far esplodere la crisi interna al partito, emarginando l’ala più intransigente. Una mossa politica che si sta rivelando fallimentare perchè David Cameron rischia tutto se passerà il Brexit – dalla residenza a Downing street a un posto fra i reietti della storia – ma non otterrà nulla se Londra rimarrà nell’Ue. Certo non zittirà le voci dei più recalcitranti all’integrazione.
L’aiuto di Jeremy Corbyn arriva al momento giusto se è vero il sondaggio di YouGov secondo il quale la credibilità personale del primo ministro sui temi europei è caduta di 8 punti ( a quota 21%) mentre il leader laburista è primo con il 28% dei favori. Alle sue spalle tiene, a quota 26%, il sindaco uscente e fautore del Brexit, Boris Johnson. Anche questo è un risultato sorprendente, in quanto il biondo primo cittadino della capitale s’è sempre speso pubblicamente per difendere la City, risorsa economica principale di Londra. Eppure è proprio il Miglio Quadrato che pagherebbe il prezzo immediatamente più elevato in caso di uscita del Regno dal consesso europeo. Secondo l’organizzazione CityUk, infatti, Brexit significherà per i servizi finanziari britannici la perdita secca di 100mila posti di lavoro.