il manifesto 5.6.16
Filosofia
Una disciplina che cancella la distanza tra cielo e terra
Saggi. «Politiche della filosofia», un volume collettivo per DeriveApprodi
di Michele Spanò
Ammesso
e non concesso che esistesse, sul modello del non meno fasullo
instituere vitam, un sintagma che recitasse instituere philosophiam, la
patacca maccheronica custodirebbe un potenziale polemico almeno
altrettanto incendiario di quello conservato nel suo fittizio parente
putativo. Se da sempre si immagina (o, più correttamente, ci si addestra
a immaginare) l’ambiente della filosofia tale quale un cielo rarefatto
di concetti e astrazioni, un dominio purissimo e sideralmente lontano da
rapporti di forza e potere e desiderio, dalla materialità dei corpi
(singolari e collettivi, di carne e di parole), allora questo volume è
da intendersi come una meditata, sobria, ma insieme esatta e testarda,
smentita di questa immagine e di questo immaginario.
Politiche
della filosofia. Istituzioni, soggetti, discorsi, pratiche, a cura di
Pierpaolo Cesaroni e Sandro Chignola (DeriveApprodi, pp. 224, euro 17) è
il tentativo – topologicamente assai audace – di indicare il luogo
proprio della filosofia tra il cielo (il fuori) e il dipartimento (il
dentro).
Il libro esibisce il tema che lo anima – il rapporto tra
filosofia e «istituzionalità» (etichetta barbara capace di condensare i
concetti di «istituzione» e «istituzionalizzazione») – nel corpo che ha
deciso di fabbricarsi: una collezione di saggi – dotati ciascuno di
autonoma consistenza – frutto di due cicli seminariali. Quest’origine
spuria è rivendicata e insieme amplificata, oppure sabotata, dalla forma
del libro: dotato di un coefficiente di riflessività elevato. Si tratta
insomma, anche, di un libro sulla capacità di ereditare e di
trasmettere.
L’eredità è quella del gruppo di ricerca sui concetti
politici fondato a Padova da Giuseppe Duso: collettivo di studiosi
singolarmente colti, agrimensori cocciuti della testualità della
filosofia politica moderna, e in «divergente accordo» con la propria
stessa Università; la trasmissione è ciò che spiega che quella che
Cesaroni e Chignola convocano e ospitano è una generazione – non
anagraficamente – precaria, per nulla «piagnona», che coltiva relazioni
molteplici nello spazio (non solo della ricerca) e una buona dose di
eclettismo disciplinare, testimoniando – quando si rivela generazione
politica – le premesse dell’intera ricerca.
Politiche della
filosofia, sarà a questo punto chiaro, ruota attorno a due fuochi
(secondo l’immagine, assai cara a uno dei due curatori, dell’elisse): la
filosofia politica da un lato, e l’Università dall’altro. I due temi
sono insieme dislocati e sabotati: se la filosofia politica è
smascherata e costretta a confessare l’implicazione o la macchinazione
che unisce e insieme estenua i due termini che ne istituiscono il
sintagma urbanizzando uno e rarefacendo l’altro; così l’Università
riconosce – storicamente e ancora una volta istituzionalmente – la sua
dipendenza dalla filosofia e gli effetti di addomesticamento che le ha
fatto subire. A queste archeologie istituzionali i saggi che compongono
il volume oppongono una soluzione: quella politica della filosofia che,
moltiplicata nel numero, fornisce il titolo alla loro impresa.
Essi
cioè praticano, ciascuno a modo suo e in forme più o meno tematiche, un
foucaultismo ben temperato: un’interrogazione materialmente ancorata
sulla costruzione e la manutenzione dell’archivio della filosofia
politica. Un’archeologia, dunque, che ricostruisce, per colpi di sonda,
cosa essa sia, chi ne sia il soggetto (nei due sensi della spada) e
quali siano i suoi effetti nel determinare estensione e regole del campo
di sapere in cui essa interviene. La filosofia è infatti una pratica
discorsiva come un’altra: essa è cioè una politica. Pratica mondana e
contingente che troppo spesso finisce con il naturalizzare i suoi
apparecchi operativi e con il mitizzare la propria vicissitudine
storica.
Il processo di istituzionalizzazione della filosofia –
inevitabile e insieme sempre problematizzabile – è ciò che i saggi si
incaricano di restituire, rivelando perciò, storicamente e
speculativamente, il piano di consistenza, materiale e discorsivo, che
ha permesso a una politica della filosofia di installarsi, con maggiore o
minore fortuna, nell’arredo dei saperi di un’epoca.
Si potrebbe
perciò immaginare il programma di ricerca che il volume ha il merito di
inaugurare insieme come un’indagine comparata sulle politiche della
filosofia e la pratica di una politica delle politiche della filosofia.
La filosofia infatti non è chiamata a uscire dall’Università, come se
questa fosse la sua prigione, ma a farsi contestazione perpetua delle
proprie condizioni istituzionali di possibilità: anche all’Università,
proprio all’Università. È la destinazione della filosofia
all’istituzione a rendere necessaria questa operazione; pena una
filosofia risolta e come dissolta nel sociale o al più tradizionale e
purtroppo diffuso irrigidimento disciplinare (leggi: accademico) del
sapere filosofico. L’obiettivo, se ce n’è, non è perciò la restituzione
della filosofia a quel cielo dei concetti (fossero anche i più selvaggi,
i meno mediati) dove si immaginava albergasse, ma la volontà, insieme
energica e studiata, di farla finita una volta per tutte, su questa
terra, con quel cielo.