il manifesto 20.4.16
L’inutile richiesta di referendum del Pd
Riforme.
Ieri i deputati di opposizione hanno portato le loro firme in
Cassazione. Il comitato del no aveva già aperto la raccolta tra i
cittadini. Ma oggi i parlamentari di maggioranza replicheranno
ugualmente la domanda. Per invocare il sì nel nome del presidente del
Consiglio
di A. Fab.
Raggiunto e superato il
numero di firme di parlamentari necessario per chiedere il referendum
sulla riforma costituzionale, in un giorno al senato (65 firme
necessarie) e in due giorni alla camera (126). Queste ultime firme sono
state già presentate in Cassazione dai deputati Toninelli (5 stelle),
Quaranta (Sinistra italiana), Occhiuto (Forza Italia) e Invernizzi
(Lega). Sempre in Cassazione, all’ufficio centrale per il referendum,
era già arrivata, prima fra tutte, la notifica dell’avvio della raccolta
delle firme da parte dei cittadini – ne servirebbero 500mila da
prendere in tre mesi, a partire dal primo timbro sui moduli
(probabilmente a inizio maggio). Basta? Non basta, perché oggi deputati e
senatori di maggioranza vorranno offrire una prova di forza aprendo e
chiudendo in poche ore altre due raccolte di firme tra parlamentari, per
chiedere anche loro l’identico referendum. Le porteranno oggi stesso in
Cassazione.
Tutte queste iniziative sono tecnicamente superflue
da quando è arrivata la prima richiesta compiuta, quella dei deputati di
opposizione. Il referendum a questo punto è un atto dovuto, non c’è più
alcuna verifica sul testo del quesito perché questo è previsto dalla
legge e prevede un sì o un no a tutta la legge di revisione
costituzionale votata per l’ultima volta il 12 aprile dalla camera. Si
tratta di iniziative che hanno un valore politico. Ma mentre la mossa
del comitato per il no intende dimostrare che sono i cittadini a
chiedere di fermare (o di provare a fermare) la riforma renziana,
l’intenzione del governo (attraverso i parlamentari di maggioranza) è
esattamente quella opposta: vuole essere lui a chiedere ai cittadini di
approvare la riforma e confermare nell’incarico il presidente del
Consiglio. Perché è stato Renzi a dire: se vincerà il no darò le
dimissioni. La campagna del Pd per il si al referendum di ottobre
dovrebbe aprirsi il prossimo 11 maggio con un appuntamento nazionale, ma
tantissimi saranno i comitati distribuiti sul territorio e Renzi sta
ancora cercando i testimonial che dovrebbero incarnare la volontà di
cambiamento del paese. Del resto lui stesso ha annunciato che farà
propaganda usando anche argomenti demagogici, e ancora ieri al senato
-replicando al dibattito sulla sfiducia – ha detto che «nella riforma
non c’è alcun accentramento dei poteri da parte del governo, il tema è
manifestamente infondato». La tesi del presidente del Consiglio è che la
funzione dell’esecutivo non sia stata toccata dalla revisione
costituzionale, che si è concentrata sul bicameralismo. Eppure, anche
volendo lasciare da parte le ricadute sui poteri del governo provocate
dal ridimensionamento del senato e soprattutto dalla nuova legge
elettorale ultra maggioritaria, resta l’elemento oggettivo che quattro
articoli su nove del titolo terzo della Costituzione – «Il governo» –
sono stati cambiati.
Intanto nei prossimi giorni dovrebbe arrivare
in Cassazione una richiesta di referendum diversa da tutte quelle già
presentate o in corso, la porteranno i radicali italiani. Che, per
«limitare la compressione del diritto di voto dei cittadini», e sfuggire
alla «trappola del plebiscito pro o contro il governo», proveranno ad
avanzare la richiesta di due quesiti separati, uno sulla modalità di
composizione del senato e un altro sulle nuove norme che riguardano i
referendum. Dovrebbero poi raccogliere le 500mila firme, a meno di non
trovare i senatori o i deputati necessari a sostenere una simile
richiesta. Di buon senso, ma non prevista dalla legge sul referendum e
quindi a forte rischio di essere bocciata.