mercoledì 27 aprile 2016

Corriere 27.4.16
Il museo? È moderno
Il successo del MoMa (che parla anche italiano) nel derby newyorkese con il Metropolitan
di Giuseppe Sarcina

NEW YORK Non è corretto liquidare con un bilancio un secolo e mezzo di storia del Metropolitan Museum of Art di New York. Però, e di questo il primo a esserne convinto è proprio il suo presidente Daniel Weiss, sarebbe grave ignorarne i segnali. I conti del «Met», esaminati giovedì 21 aprile, sono brutali e non si curano delle tradizioni. Nel 2015 il Metropolitan ha fatturato 300 milioni di dollari, chiudendo con una perdita di 10 milioni. «Se non corriamo ai ripari — ha dichiarato Weiss al New York Times — nel giro di 18 mesi ci ritroveremo con un buco quattro volte più grande».
In quello stesso giorno, nella Midtown di Manhattan, Glenn Lowry, direttore del MoMa, il Museum of Modern Art, era impegnato in un calcolo tanto semplice, quanto gratificante. Sulla scrivania l’assegno di 100 milioni di dollari, donato dal produttore cinematografico David Geffen, 73 anni, uno dei più munifici e ricchi collezionisti, con un patrimonio artistico valutato 6,2 miliardi di dollari. Facile immaginare la scena: «E con questi 100, fanno 650 milioni di dollari, che possiamo spendere come ci pare», deve aver pensato Lowry.
Il Met, fondato il 13 aprile 1870, significa soprattutto antichità, capolavori fondamentali del passato. Vuol dire Rembrandt, Monet, Vermeer, Jacques-Louis David, Duccio di Buoninsegna. E poi gli egizi, gli assiro-babilonesi, il Medioevo. Il MoMa, inaugurato il 7 novembre 1929, riparte più o meno da dove si ferma il Metropolitan: Van Gogh, Picasso, Chagall e poi Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Jackson Pollock. Il Met resta una tappa obbligata, il compito da assolvere per ogni turista: è il quinto museo più visitato al mondo con 5,2 milioni di ingressi (dati 2014). Ma la scena sociale, culturale e anche finanziaria della città è dominata dall’arte moderna e contemporanea, quella del MoMa. È un modello che ricompare in fondo a Manhattan nel Meatpacking district, con il Whitney museum progettato da Renzo Piano; pulsa nella miriade di gallerie a Chelsea e nel Brooklyn Museum. E poi in tutti gli Stati Uniti, da Washington a Los Angeles, passando per Miami, Houston e San Francisco.
Certo, conta molto la fantasia dei curatori e, oggettivamente, la contemporaneità si presta a offerte più fresche e originali rispetto agli artisti del passato. Al MoMa, peraltro, lavora dal 1994 anche un’italiana, Paola Antonelli, responsabile del Dipartimento di architettura e design.
Alla moda, all’estetica si aggiunge la finanza. Nell’ultimo rapporto su Arte e finanza , presentato il 21 aprile ad Amsterdam dalla società di consulenza Deloitte, si legge che, prendendo come riferimento le aste di Christie’s e Sotheby’s, la percentuale delle opere contemporanee trattate è pari al 45% del totale, mentre al secondo posto, con il 33%, ci sono artisti moderni e gli eterni impressionisti. Motivo? Hanno quotazioni relativamente abbordabili e quindi sono scambiabili sul mercato. A New York sta crescendo il settore dei finanziamenti garantiti da un’opera d’arte, in generale meglio se dell’epoca moderna. Sempre secondo Deloitte il comparto vale tra i 15 e i 19 miliardi di dollari.
Del resto la prova migliore viene dal piano di rilancio del Met: taglio dei costi nella sede centrale, aumento dell’offerta di opere moderne e contemporanee nel Breuer Building, la vecchia sede del Whitney acquistata, con forte indebitamento, dal vecchio Metropolitan per somigliare almeno un po’ al «giovane» MoMa .