lunedì 11 aprile 2016

Corriere 11.4.15
Panama papers
Il doppio standard della trasparenza
Le eruzioni di notizie riservate, adesso su paradisi fiscali e prima con Wikileaks, sono un fenomeno del nostro tempo: fanno luce su segreti, ma non solo
Nelle democrazie i contraccolpi sono evidenti, negli Stati autoritari non subito
L’apparente anarchia del web non esclude oligarchie e trame
di Maurizio Caprara

Le ondate di rivelazioni come quelle dei cosiddetti «Panama papers» su patrimoni custoditi in paradisi fiscali sono ormai un fenomeno ricorrente del nostro tempo. Di queste eruzioni di informazioni destinate in origine a non essere pubblicate le nuove tecnologie hanno accresciuto le dimensioni e Internet ha aumentato la velocità nella quale si propagano a livello planetario le scosse generate, le conseguenze della trasparenza inattesa.
Da un momento all’altro, enormi fughe di notizie scuotono equilibri politici e irrompono, cambiandole, nelle agende di politica interna di alcuni Paesi e della politica internazionale. Era già accaduto nel 2010 quando Wikileaks pubblicò rapporti riservati o segreti di diplomatici e militari statunitensi. Qualcosa di analogo si è ripetuto nel 2013 quando il contrattista della National security agency Edward J. Snowden rese noto che l’agenzia compiva controlli su telefoni e posta elettronica di milioni di persone.
Vampate di trasparenza del genere mettono a nudo potenti, malefatte, giochi e vizi del potere. Se ciò è per certi versi attraente c’è però da domandarsi se sia soltanto questo.
Innanzitutto le ripercussioni non sono identiche, almeno nella tempistica, tra i Paesi democratici e non democratici. Dimissioni da cariche pubbliche, proteste, esami parlamentari dei casi venuti alla luce si riscontrano nelle democrazie anche se, in un’epoca nella quale la censura a tenuta stagna è stata indebolita da tv satellitari e Web , non va escluso che gli Stati autoritari subiscano ripercussioni dilazionate. I crolli a catena di regimi durante le «primavere arabe» sono avvenuti nel 2011, età della Rete, non ai tempi della tv in bianco e nero.
La fonte anonima che ha svelato il contenuto di archivi dello studio legale panamense Mossack Fonseca è stata in grado di appropriarsi di 2,6 terabyte di materiale, undici milioni e mezzo di documenti. Finora l’eruzione di rivelazioni proveniente da Panama, che non è terminata, non ha causato scosse tellurico-politiche in Cina, Russia e Arabia Saudita, pur presenti nei documenti con citazioni di proprietà di personalità di rilievo o loro referenti. Invece in Islanda ha portato alle dimissioni del primo ministro Sigmundur David Gunnlaugsson che non aveva dichiarato al fisco la comproprietà di una società alle Isole Vergini. In Gran Bretagna i documenti su suoi investimenti all’estero mettono sotto pressione il premier David Cameron (e nel referendum del 23 giugno possono danneggiare la sua posizione, contraria all’uscita dall’Unione Europea). In Argentina il presidente Mauricio Macri si trova obbligato a promettere di affidare i suoi beni a un fondo cieco gestito da terzi.
Le novità del nostro tempo non consistono nelle «talpe» o nelle falle, ma nel volume di informazioni che queste possono sottrarre ad archivi protetti, nella rapidità della loro diffusione e nei modi per sottrarle, anche a distanza. E nell’apparente anarchia della Rete, nella sua orizzontalità priva di gerarchie, nei terremoti provocati dalle fughe di notizie si liberano spazi che portano a redistribuzioni di potere non paritarie. A colmare i vuoti possono essere il consolidarsi di vecchie oligarchie o l’imporsi di nuove.
È su Internet e sull’accesso a reti protette che i servizi segreti spendono buona parte delle loro energie. Nel 2013 un rapporto della multinazionale Verizon Business, segnalò Antonio Teti su Gnosis , la rivista dell’Aisi, il servizio segreto civile italiano, ravvisò «la proliferazione di gruppi di hacker (pirati informatici, ndr ) organizzati su un modello gerarchico-militare, spesso coordinati a livello planetario da strutture governative, lobby e gruppi di potere», formazioni «al soldo del miglior offerente» anche se «non di rado mascherate come gruppi liberal-democratici o attivisti animati da nobili ideali».
Teti, le parole tra virgolette sono sue, già tre anni fa ha fatto presente che una richiesta di amicizia su Facebook può nascondere sistemi per sottrarre dati. Che false identità virtuali possano influire sugli orientamenti di comunità in rete non va escluso. Anche in mancanza di cattive intenzioni, il potere si ridistribuisce non necessariamente a vantaggio delle istituzioni democratiche. Google conosce di ogni suo utente interessi e curiosità, ne può ricavare ritratti personali che i servizi segreti del passato non sarebbero stati capaci di tratteggiare. Il potere degli Stati viene di fatto battuto da soggetti privati. Il mondo è cambiato. Le legislazioni non a sufficienza.