Corriere 11.4.15
Panama papers
Il doppio standard della trasparenza
Le
eruzioni di notizie riservate, adesso su paradisi fiscali e prima con
Wikileaks, sono un fenomeno del nostro tempo: fanno luce su segreti, ma
non solo
Nelle democrazie i contraccolpi sono evidenti, negli Stati autoritari non subito
L’apparente anarchia del web non esclude oligarchie e trame
di Maurizio Caprara
Le
ondate di rivelazioni come quelle dei cosiddetti «Panama papers» su
patrimoni custoditi in paradisi fiscali sono ormai un fenomeno
ricorrente del nostro tempo. Di queste eruzioni di informazioni
destinate in origine a non essere pubblicate le nuove tecnologie hanno
accresciuto le dimensioni e Internet ha aumentato la velocità nella
quale si propagano a livello planetario le scosse generate, le
conseguenze della trasparenza inattesa.
Da un momento all’altro,
enormi fughe di notizie scuotono equilibri politici e irrompono,
cambiandole, nelle agende di politica interna di alcuni Paesi e della
politica internazionale. Era già accaduto nel 2010 quando Wikileaks
pubblicò rapporti riservati o segreti di diplomatici e militari
statunitensi. Qualcosa di analogo si è ripetuto nel 2013 quando il
contrattista della National security agency Edward J. Snowden rese noto
che l’agenzia compiva controlli su telefoni e posta elettronica di
milioni di persone.
Vampate di trasparenza del genere mettono a nudo
potenti, malefatte, giochi e vizi del potere. Se ciò è per certi versi
attraente c’è però da domandarsi se sia soltanto questo.
Innanzitutto
le ripercussioni non sono identiche, almeno nella tempistica, tra i
Paesi democratici e non democratici. Dimissioni da cariche pubbliche,
proteste, esami parlamentari dei casi venuti alla luce si riscontrano
nelle democrazie anche se, in un’epoca nella quale la censura a tenuta
stagna è stata indebolita da tv satellitari e Web , non va escluso che
gli Stati autoritari subiscano ripercussioni dilazionate. I crolli a
catena di regimi durante le «primavere arabe» sono avvenuti nel 2011,
età della Rete, non ai tempi della tv in bianco e nero.
La fonte
anonima che ha svelato il contenuto di archivi dello studio legale
panamense Mossack Fonseca è stata in grado di appropriarsi di 2,6
terabyte di materiale, undici milioni e mezzo di documenti. Finora
l’eruzione di rivelazioni proveniente da Panama, che non è terminata,
non ha causato scosse tellurico-politiche in Cina, Russia e Arabia
Saudita, pur presenti nei documenti con citazioni di proprietà di
personalità di rilievo o loro referenti. Invece in Islanda ha portato
alle dimissioni del primo ministro Sigmundur David Gunnlaugsson che non
aveva dichiarato al fisco la comproprietà di una società alle Isole
Vergini. In Gran Bretagna i documenti su suoi investimenti all’estero
mettono sotto pressione il premier David Cameron (e nel referendum del
23 giugno possono danneggiare la sua posizione, contraria all’uscita
dall’Unione Europea). In Argentina il presidente Mauricio Macri si trova
obbligato a promettere di affidare i suoi beni a un fondo cieco gestito
da terzi.
Le novità del nostro tempo non consistono nelle «talpe» o
nelle falle, ma nel volume di informazioni che queste possono sottrarre
ad archivi protetti, nella rapidità della loro diffusione e nei modi per
sottrarle, anche a distanza. E nell’apparente anarchia della Rete,
nella sua orizzontalità priva di gerarchie, nei terremoti provocati
dalle fughe di notizie si liberano spazi che portano a redistribuzioni
di potere non paritarie. A colmare i vuoti possono essere il
consolidarsi di vecchie oligarchie o l’imporsi di nuove.
È su
Internet e sull’accesso a reti protette che i servizi segreti spendono
buona parte delle loro energie. Nel 2013 un rapporto della
multinazionale Verizon Business, segnalò Antonio Teti su Gnosis , la
rivista dell’Aisi, il servizio segreto civile italiano, ravvisò «la
proliferazione di gruppi di hacker (pirati informatici, ndr )
organizzati su un modello gerarchico-militare, spesso coordinati a
livello planetario da strutture governative, lobby e gruppi di potere»,
formazioni «al soldo del miglior offerente» anche se «non di rado
mascherate come gruppi liberal-democratici o attivisti animati da nobili
ideali».
Teti, le parole tra virgolette sono sue, già tre anni fa ha
fatto presente che una richiesta di amicizia su Facebook può nascondere
sistemi per sottrarre dati. Che false identità virtuali possano
influire sugli orientamenti di comunità in rete non va escluso. Anche in
mancanza di cattive intenzioni, il potere si ridistribuisce non
necessariamente a vantaggio delle istituzioni democratiche. Google
conosce di ogni suo utente interessi e curiosità, ne può ricavare
ritratti personali che i servizi segreti del passato non sarebbero stati
capaci di tratteggiare. Il potere degli Stati viene di fatto battuto da
soggetti privati. Il mondo è cambiato. Le legislazioni non a
sufficienza.