Repubblica Cult 13.3.16
Stefano Andreoli
Il fondatore di Spinoza: “Il web è un’alternativa perché è immediato”
di Sara Grattoggi
Quasi
rimpiange gli anni del berlusconismo, perché «almeno dal punto di vista
della satira, si stava meglio quando si stava peggio». Mentre oggi –
dice – «davanti alla tv rido pochissimo». Eppure Stefano Andreoli,
co-fondatore insieme a Alessandro Bonino di Spinoza. it, in tv è finito a
lavorare, dopo il grande successo su internet, proprio come autore.
Collaborando, fra gli altri, con Maurizio Crozza, Roberto Benigni e,
attualmente, con Quelli che il calcio.
Insomma, cosa ha “ucciso” la satira? Forse, il politically correct?
«Sicuramente,
almeno in tv, c’è stata una “normalizzazione” della satira e il
significato stesso della parola si è perso. Negli ultimi anni, l’alibi
della definizione “satira di costume” ha permesso di etichettare un po’
tutto come satira: dalle battute sulle code in tangenziale a quelle sul
prezzo dei carciofi. Non a caso l’ultimo Premio Satira di Forte dei
Marmi (a pochi mesi dai fatti di Charlie Hebdo) l’ha vinto Enrico
Brignano. È lì che pensi: “E allora vale tutto”».
Cosa rimpiange in tv?
«Luttazzi,
prima di tutto, i programmi della Dandini, Mai dire Gol. Se penso a
15-20 anni fa, mi sembra che non abbiamo fatto molti passi avanti, salvo
alcune eccezioni come Zoro, Crozza o Cattelan. Certo, il cambiamento
della realtà politica ha contribuito a questa crisi: è come se gli
scontri accesi, le polarizzazioni nette avessero in qualche modo portato
a grandi idee. Oggi, invece, è tutto grigio».
Ricorda un po’ lo sketch di Corrado Guzzanti sul comico- Rambo depresso dopo la caduta di Berlusconi.
«Al di là delle esagerazioni, infatti, un fondo di verità c’era, eccome».
Se la satira in tv è agonizzante, sul web c’è invece un gran fermento.
«Sì, e paradossalmente lì oggi, invece, si rischia la saturazione. Anche per questo, ormai
Spinoza.
it, che è stata la prima community di satira, pur ricevendo fino a
mille-duemila battute al giorno, ne pubblica solo una».
Dai falsi
account di personaggi famosi su Facebook e Twitter alle parodie
giornalistiche alla “Lercio”, fra le tante tendenze e modalità della
satira che si sono imposte sul web negli ultimi anni c’è quella dei
fake.
« Lercio mi piace molto, mentre i fake account su Twitter a
volte mi sembrano più un’evoluzione di Gigi Sabani, dell’imitatore
classico. E rischiano di perdere la loro attualità insieme al
personaggio. A meno che non gli diano una chiave che va oltre la
parodia, che aggiunge qualcosa, come nel caso di @casalegglo (il finto
account di Roberto Casaleggio, “guru” del Movimento 5 Stelle ndr) che lo
interpreta in chiave surreale».
Il web riesce, insomma, a essere più “sul pezzo”?
«Sì,
ed è in questo che batte la tv, che molto spesso non fa più ridere non
perché inefficace ma perché è intempestiva. Quando Luciana Littizzetto,
la domenica, fa il suo monologo sui fatti della settimana, spesso suo
malgrado arriva tardi, perché sugli stessi argomenti sono già state
sfornate migliaia di battute su internet».
Dal web alla tv il
passo sembra però essere sempre più breve: lo è stato per i video del
“Terzo segreto di satira” o di “The Pills”, solo per fare qualche
esempio. Saranno loro a rivoluzionare la comicità anche sul piccolo
schermo?
«Può darsi, ma per ora non sono stati davvero “integrati”
nella programmazione e bisogna ancora capire se il linguaggio del web
possa funzionare così com’è anche in televisione, per un pubblico
generalista e generalmente più anziano».
Quel che sicuramente ha
funzionato, negli ultimi mesi, scatenando fra l’altro grande dibattito, è
stato “Quo Vado?”, l’ultimo film di Checco Zalone. L’ha visto? Cosa ne
pensa?
«Non ho visto l’ultimo film, ma ho visto i precedenti.
Zalone ha un grande talento, ma soprattutto gestito in modo mirabile.
Anche dal punto di vista della distribuzione, che di sicuro ha giocato
molto nel successo del film. Potrebbe sfruttare questo talento per una
comicità più alta? Certo, ma forse non avrebbe più lo stesso pubblico.
Volente o nolente, è il comico che oggi più rappresenta l’Italia. E,
quando fai quei “numeri”, quelle cifre, in tv o al cinema, quando a fare
la fila per un biglietto ci sono dai ragazzini ai nonni, allora,
qualsiasi cosa se ne dica, hai comunque vinto tu».