Repubblica 6.3.16
Ankara, ultima fermata “Tre milioni di profughi in attesa dell’Europa”
La Turchia è l’approdo dei siriani: in ogni momento può decidere di lasciarli partire o bloccarli sul suo territorio
di Vladimiro Polchi
ROMA.
Un esercito disarmato assedia l’Europa. Oltre cinque milioni di
rifugiati, “parcheggiati” negli immensi campi profughi e nelle città
della Turchia, del Libano e della Giordania, bussano alle porte del
Vecchio continente. Sono afgani, iracheni, ma soprattutto siriani: ben 4
milioni e 815mila, per lo più famiglie. Su di loro si gioca la partita
tra Ue ed Ankara. La Turchia è infatti il “Paese cerniera” fra il
vecchio continente e il teatro di guerra di Damasco: ospita oltre 2
milioni e 700mila siriani, pronti a prendere il largo verso la Grecia.
La
Turchia è il paese che oggi ospita il numero più alto di rifugiati al
mondo: ad Ankara da qualche settimana la Commissione europea ha
cominciato a versare la prima tranche dei 3 miliardi di euro destinati
ad Ankara per accogliere i profughi e frenarne le partenze verso la
Grecia. Non solo: sul tavolo delle trattative c’è anche la promessa di
ricollocare parte dei suoi rifugiati (250mila) nel resto d’Europa.
«Quella turca è una politica “apri e chiudi”. Come già sperimentato da
Gheddafi, Ankara lascia aperti dei varchi sulle sue coste come strumento
di pressione sulla Ue – sostiene Christopher Hein, consigliere
strategico del Consiglio italiano rifugiati – dall’altra chiude
parzialmente le sue frontiere con la Siria, mentre sarebbe un obbligo
internazionale permettere l’ingresso di chi fugge dalla guerra». E
infatti la rotta del mare Egeo è più aperta che mai, con ben 128mila
arrivi via mare in Grecia nei primi due mesi del 2016. «Se la Turchia–
ragionano al Viminale – non chiude il tappo, il sistema d’accoglienza
europeo rischia di soccombere».
Stando all’Unhcr, ben 4 milioni e
815mila siriani bussano oggi alle porte d’Europa. Vivono nelle grandi
città e nelle decine di campi profughi della Turchia (2 milioni
715mila), in Libano (oltre un milione), nei grandi campi giordani, come
quelli di Zaatari e Azraq (640mila) e in Egitto (118mila). Secondo un
rapporto di Banca Mondiale e Unhcr, quasi il 70% vive sotto la soglia
internazionale di povertà, fissata a 5,25 dollari al giorno. «Molti
sopravvivono solo grazie agli aiuti dell’Unhcr e del World Food
Programme con un sistema di
cash assistance – spiega Carlotta
Sami, portavoce Unhcr Sud Europa – in pratica una sorta di bancomat per
acquisti di prima necessità. Ma parliamo di poche decine di dollari al
mese. Bisogna fare molto di più. Per il 2016 l’Unhcr ha chiesto 7
miliardi di dollari di finanziamenti ». Una soluzione potrebbe essere
quella dei corridoi umanitari: «Ma finora si è fatto poco – sostiene la
Sami – solo il Canada ha accolto 25mila siriani presi direttamente dai
campi giordani e dal Libano».
Una partita tutta interna alla Ue è
quella dei ricollocamenti. I siriani arrivati in Grecia e Italia hanno
infatti diritto a essere ricollocati. La risposta Ue all’emergenza
profughi prevedeva la redistribuzione all’interno dell’Unione di 40mila
rifugiati provenienti dall’Italia (24mila) e dalla Grecia (16mila) in
due anni. Risultato? Finora un flop clamoroso. «Molti Paesi si sono
sfilati – racconta Carlotta Sami – altri, come il Portogallo, stanno
facendo bella figura. Ma finora si parla di soli 500 rifugiati
trasferiti dalla Grecia e dall’Italia».
L’ultimo allarme si chiama
“nuove rotte”. La chiusura delle frontiere europee (a partire da quella
macedone) rischia infatti di bloccare la via balcanica, che nel 2015 ha
portato nel cuore dell’Europa ben 860mila migranti. La conseguenza
potrebbe essere il riaprirsi di quella adriatica, tra Albania e Puglia.
Tanto che rappresentanti delle forze dell’ordine di Italia, Albania e
Montenegro si sono già incontrati per mettere a punto un strategia
comune.