Repubblica 6.3.16
L’intervista.
Abdullah Bozkurt, caporedattore del quotidiano: “Il governo ci detesta: qui è sempre peggio”
“Vogliono cancellare la libertà di opinione”
di Anna Lombardi
«Il
service del giornale è disattivato, hanno tagliato l’accesso a
Internet, bloccato le macchine di stampa. Hanno licenziato il nostro
direttore, Abdulhamit Bilici e il nostro editorialista di punta, Bulent
Kenes. Quasi certamente lunedì licenzieranno altri. Forse anche me».
Abdullah Bozkurt, capo della redazione di Ankara di
Today’s Zaman
parla al cellulare dal suo ufficio. «Ci aspettiamo il peggio».
Dopo gli scontri a Istanbul, com’è la situazione nel giornale?
«Davanti
a me c’è un ragazzo che ho assunto un anno fa, un giornalista molto
promettente. Sta piangendo. Non possiamo lavorare e io oggi posso fare
il mio mestiere di giornalista solo raccontando le cose attraverso
Twitter».
Quando tornerete in edicola?
«Quando il governo avrà messo insieme una squadra di gente sua. Forse già lunedì».
Sta dicendo che da lunedì ci saranno nuovi giornalisti al vostro posto?
«Non
li chiamerei giornalisti, ma sì, gente loro. Sicuramente sostituiranno
la dirigenza del giornale. Imporranno una linea editoriale che
appiattisca Zaman sulle posizioni governative. Vogliono farne un
giornale di propaganda. Ma la gente non la berrà».
Molti vostri lettori hanno protestato al fianco dei giornalisti...
«Non
si può passare da un giornale indipendente ad un giornale di propaganda
in una notte. Sono venuti a dircelo in tanti qui, nell’ufficio di
Ankara. Abbiamo avuto enormi dimostrazioni di solidarietà. Con 650mila
lettori siamo il giornale più letto della Turchia: ma i nostri sono
lettori leali e consapevoli. Non compreranno un giornale finto. Le
vendite crolleranno. Il rischio è che il gruppo Feza, la nostra azienda,
farà bancarotta. E forse era questo l’obiettivo del governo. Far
fallire l’ennesima voce critica senza doverla ufficialmente chiudere».
Perché colpirvi in questo momento?
«Si
parla di referendum costituzionale. E noi siamo critici. E dunque
scomodi. Come prima di noi i colleghi del quotidiano d’opposizione
Cumhuriyet, il cui direttore è stato tre mesi in carcere. E quelli di
Hurriyet, attaccata pochi mesi fa da uomini armati».
Dalla Casa
Bianca al presidente del Parlamento europeo Schulz, tanti hanno espresso
preoccupazione per quel che sta accadendo al vostro giornale. Servirà?
«Qualunque
pressione internazionale aiuta: perché se non lo critichi, il governo
turco tende a scambiare il silenzio internazionale per approvazione.
Semmai si stanno alzando poche voci. Pur di risolvere la questione dei
rifugiati, l’Europa è pronta a sacrificare i valori democratici della
Turchia».
Nel suo paese almeno 30 giornalisti sono in carcere. Ha paura?
«Ogni
volta che scrivo un articolo, ogni volta che twitto i miei pensieri,
penso che ne pagherò il prezzo. Si può essere arrestati, licenziati,
silenziati con storie costruite ad arte sulla propria vita privata. Ma
io continuerò a parlare. E con me tanta gente. Questo è un paese di
gente onesta, anche se ci rendono la vita sempre più dura».