Repubblica 30.3.16
Quei nastri registrati nascosti per trent’anni
di Maurizio Crosetti
Arriva
tra noi all’improvviso un libro molto importante e necessario. Una
voce, quella inconfondibile di Primo Levi, così mite e tormentata,
gentile e dolente, ritorna dopo quasi trent’anni come se fosse ieri in
questo Io che vi parlo (Einaudi). Una voce che Giovanni Tesio, tra i
nostri maggiori italianisti e biografo ufficiale di Levi, nonché suo
amico e lettore privilegiato, aveva registrato su cassetta poche
settimane prima del suicidio dello scrittore, in vista di una biografia
autorizzata. Tre incontri discreti e profondi, per un futuro che non ci
sarebbe stato. Trent’anni è lo spazio enorme di un rispetto e di
un’attesa: rispetto verso la famiglia di Levi, che dopo la sua morte
avrebbe potuto essere ferita da queste confidenze, e attesa che il tempo
fosse pronto ad accoglierne di nuovo la voce. Ed eccola, dunque,
inconfondibile, potentissima come il tuono e leggera come un soffio. Se
ne sente la grana e la cadenza, in certi momenti è come sporgersi
sull’abisso: quando Primo Levi racconta, per la prima volta, le ferite
della giovinezza, la timidezza quasi patologica verso le donne, i segni
di diversità avvertiti sulla propria pelle di ebreo ben prima e forse
addirittura ben oltre Auschwitz, l’innamoramento (platonico) per la
compagna partigiana poi andata in gas. E, ancora e sopra ogni cosa, quel
senso di colpa profondissimo, ineliminabile: la colpa di essere vivo,
l’identico tormento che innerva il testo forse più importante di Levi, I
sommersi e i salvati.
Qui, parlando con Tesio, il grande
scrittore si ferma prima della Shoah. Narra gli anni di lui bambino,
quella bizzarra famiglia da Sistema periodico, e poi la scuola, i
giochi, le infinite avventure in montagna per “assaggiare la carne
dell’orso”. Si potrebbe dire, un Levi prima di Levi che però lo contiene
già tutto e ne illumina ogni spiegazione. Fa tenerezza la fragilità di
Levi quando chiede all’amico di non andare oltre, o di spegnere il
magnetofono per una confidenza più profonda. Oppure, quando si ferma sul
confine delle cose di cui è bene non dare conto, perché un autore è
fatto anche di silenzio. Infine, è commovente sapere che queste parole
sono state le ultime pronunciate da Levi prima del buio. E bisogna
ringraziare Giovanni Tesio per come ha custodito negli anni questo dono e
per come ce lo porge, adesso che il tempio è compiuto.