Repubblica 21.3.16
Un pozzo di misteri chiamato Sindona
Il suo grande sponsor, Giulio Andreotti, lo definì “salvatore della lira” e lo difese con passione alla Camera
Poté farsi strada in assenza di regolamenti stringenti che arrivarono solo molto tempo dopo la sua caduta
di Benedetta Tobagi
Trent’anni
fa morì il banchiere legato alla mafia. La cui vicenda pare il preludio
degli scandali finanziari di oggi Un saggio ripercorre relazioni
politiche e criminali
Trent’anni fa esatti, all’ora di colazione
del 22 marzo 1986, il banchiere bancarottiere legato alla mafia Michele
Sindona stramazzò a terra in una cella del carcere di massima sicurezza
di Voghera dopo aver bevuto un caffè al cianuro, gridando «Mi hanno
avvelenato!». Morì 48 ore dopo. Tutti pensarono a un omicidio mascherato
da suicidio, come nel caso del mafioso Pisciotta (1954) e del banchiere
dell’Ambrosiano Roberto Calvi (1982), successore ideale di Sindona dopo
il crack di Banca Privata Italiana nel 1974, come lui iscritto alla P2,
legato al Vaticano, coinvolto nel riciclaggio di capitali. Invece fu
proprio
il contrario: due giorni dopo la condanna all’ergastolo per l’omicidio
Ambrosoli, Sindona si uccise (ci aveva già provato nell’80) tentando di
passare per vittima: per gettare discredito sugli avversari e,
probabilmente, garantire alla figlia l’incasso di una polizza sulla vita
(il libro dei magistrati Turone e Simoni Il caffè di Sindona fuga ogni
dubbio sulla vicenda). Fu l’ultimo colpo di teatro di un istrione
avvezzo alle mistificazioni: basti pensare che, con l’aiuto di mafia e
massoneria coperta palermitana, nel 1979 inscenò un finto sequestro da
parte di un immaginario gruppo armato proletario per sfuggire alla
giustizia e passare per martire.
Allude con ironia a questa
tragica fine la foto di copertina di Sindona. Biografia degli anni
Settanta (Einaudi) di Marco Magnani. In quest’ottimo saggio di agile
lettura, l’autore, economista in Banca d’Italia dal 1982, rivisita la
vicenda Sindona in chiave propriamente storica, non più giornalistica o
giudiziaria, ponendo l’accento, come suggerisce il titolo, sulla
dimensione sistemica, anziché meramente criminale, della vicenda
Sindona.
«Non sapevo come si costruisce un muro, ma sapevo come si
incrociano gli interessi » : la fulminea ascesa del brillante self made
man di origine sicula, prima commercialista di grido nella Milano del
“miracolo”, poi banchiere trionfante negli Usa e protagonista della
scena finanziaria e bancaria privata italiana, è utilizzata come uno
specchio in cui studiare caratteri patogeni del “capitalismo
relazionale” nostrano. Lettura appassionante anche perché ripercorre la
storia economica italiana negli anni della grande trasformazione
produttiva, dal boom, quando il nostro Pil cresceva a ritmi da Brics,
fino alla crisi di metà anni Settanta.
L’Italia in cui Sindona si
fece strada con manovre fraudolente e potenti agganci, politici e
criminali, era un sistema finanziario poco esposto alla concorrenza e
dominato dalle banche, il cui controllo era formidabile strumento di
influenza economica e politica (com’è ancora oggi, d’altra parte).
Intrecciando in modo agile e chiaro vari piani, storia economica,
finanziaria, politico-sociale e criminale, Magnani mette in evidenza
come, per esempio, il sistema-Sindona poté indirettamente giovarsi
dell’escalation del terrorismo rosso, e la conseguente necessità delle
forze politiche, comunisti inclusi, di far fronte comune: ciò consentì
al suo grande sponsor Giulio Andreotti «maggiori margini di libertà nel
gestire financo rapporti istituzionalmente non tollerabili, come quello
con il bancarottiere latitante ». Mentre il coraggioso liquidatore
Giorgio Ambrosoli fu lasciato solo, per anni, finché il killer mafioso
Aricò, su mandato di Sindona, lo uccise sottocasa l’11 luglio ’79.
Andreotti (il suo braccio destro Franco Evangelisti fu tra i soggetti
più attivi del «complesso politico-affaristico- giudiziario» – Gelli e
P2 in testa che si attivò in difesa di Sindona e per il salvataggio di
Banca Privata Italiana) celebrò il banchiere come “il salvatore della
lira” e, davanti alla Commissione parlamentare dedicata al caso nel
gennaio ‘82 (i resoconti delle sedute sono pubblicati online tra i
documenti dell’VIII legislatura nel sito Senato.it), poté rimarcare che
la sua non fu una “cotta” isolata.
A lungo, Sindona fu portato in
palmo di mano dalla stampa italiana ed estera; quando nel ’72 rilevò la
Franklin National Bank, ventesima banca statunitense, lo incensarono
come «uno dei trader più dotati al mondo» (l’antesignano di tanti lupi
di Wall Street, insomma). Suscitò speranze, persino, quando si scontrò
con Eugenio Cefis, il presidente di Montedison, storico antagonista di
Enrico Mattei, che «contribuì a creare quell’intreccio patologico tra
politica ed economia che in altri modi ancora oggi asfissia il paese».
Magnani
mostra come l’ingegno senza scrupoli di Sindona seppe sfruttare la fame
di facili profitti speculativi, le debolezze della politica, le
malattie congenite al capitalismo italiano e la scarsa propensione al
rischio d’impresa e all’investimento in ricerca e sviluppo, come si
vide, purtroppo, in occasione della nazionalizzazione dell’energia
elettrica. Sindona poté farsi strada nella foresta vergine dei mercati
finanziari in virtù dell’assenza di regolamenti, e Magnani non manca di
puntualizzare con quanto ritardo, dopo il suo crollo, arrivarono le
norme: particolarmente interessante leggere questo saggio oggi, alla
luce dello scandalo dei mutui subprime e della crisi mondiale innescata
dal crack di Lehman Brothers. Sindona esprimeva una patologia destinata a
durare, ma, all’epoca, ci furono figure come Ambrosoli, La Malfa, Baffi
e Sarcinelli ad arginarlo. E oggi?
Leggendo Magnani si comprende
quanto la storia di Sindona sia una miniera in cui continuare a scavare.
Tra pochi mesi, dopo un titanico lavoro di riordino, sarà accessibile
presso la Camera di Commercio di Milano l’archivio della Banca Privata.
Non si sa, invece, quando saranno consultabili le carte accumulate dalla
Commissione parlamentare Sindona, che chiuse i lavori nel 1983, senza
disporne la pubblicazione. Presso l’Archivio storico della Camera,
l’inventariazione analitica è in corso, in seguito dovrà essere
deliberato l’avvio delle procedure di declassifica: ci vorrebbe un
impulso politico per accelerare i lavori.
La Commissione
presieduta da De Martino fece un gran lavoro, ebbe il merito di
acquisire dai magistrati Colombo e Turone le liste della P2
consentendone la pubblicazione, certificò che la Dc ottenne attraverso
Sindona cospicui finanziamenti, accumulò elementi di conoscenza sulle
relazioni tra mafia e massonerie coperte, e di queste con i poteri
economici e politici, e su episodi come il tentato golpe separatista in
chiave anticomunista progettato nel 1979 da Sindona con la mafia, che,
successivamente, hanno trovato risconti nelle parole di molti
collaboratori di giustizia di Cosa Nostra. I commissari, spiega la
relazione conclusiva, non ebbero tempo di approfondire questi aspetti.
Sarebbe ora di farlo.
IL LIBRO Marco Magnani, Sindona. Biografia
degli anni Settanta (Einaudi, pagg. 158, euro 21) Magnani è economista,
attualmente è vice capo del Dipartimento Economia e Statistica della
Banca d’Italia In alto, una foto di Sindona tra due carabinieri