mercoledì 16 marzo 2016

Repubblica 16.3.16
La stepchild adoption e i bambini “oggetto”
di Andrea Manzella

STRALCIATA la cosiddetta “stepchild adoption”, è ancora in alto e complicato mare il progetto per il riordino delle adozioni. Questo, insomma, non sembra affatto un Paese per bambini. La Costituzione dice che la Repubblica protegge la maternità e l’infanzia: ma la competente Autorità garante parla — nella sua relazione alle Camere (giugno 2015) — di “promesse mancate”. E denuncia «più di 91 mila minorenni maltrattati a carico ai servizi sociali» e lo «svuotamento » del piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Pesanti lasciti per la nuova Garante, la giudice Albano, appena nominata.
C’è poi stata, negli ultimi anni, una terribile serie di fatti che hanno fatto rabbrividire gli italiani. Undici ottobre 2012, Cittadella, Padova: un bambino di 10 anni si dibatte tra due funzionari di polizia che lo hanno “prelevato” dalla sua scuola elementare al fine di poterlo (testuale) “resettare” in una comunità (“luogo neutro” tra genitori in lite). Ventinove maggio 2013, Casal Palocco, Roma: la polizia sequestra una bambina di sei anni con la madre, moglie di un dissidente politico straniero, e le estrada abusivamente, su un aereo privato, verso la patria ostile. Quindici agosto 2015, Milano: un magistrato dispone che il figlio appena nato di una sciagurata detenuta, imputata di orribili delitti, venga immediatamente separato dalla madre e avviato a un incerto destino. Casi estremi, sicuramente. Ma c’è un filo che tiene assieme queste situazioni di violenza contro minori: i bambini sono considerati connessi — come cose, come pertinenze — a vicende dei loro genitori.
È lo stesso filo del bambino- oggetto che si ritrova al fondo di certi ragionamenti correnti sulle condizioni di adozione. Qui, certo, il bambino è visto come “oggetto” di protezione, destinatario di garanzie rafforzate a causa della sua fragilità nei rapporti sociali. Negli abusi di potere, appena ricordati, il bambino è invece “oggetto” di pignoramento a causa dei “debiti” dei suoi genitori. Ma, in vicende così diverse, si annida lo stesso errore. Altra è la strada indicata da anni, dalla civiltà giuridica: come espressione della coscienza alta del nostro tempo. È la strada che — con la Convenzione dell’Onu del 1989, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che dal 2009 è parte integrante della nostra Costituzione) — vede il bambino come vero e proprio soggetto di diritti, con una propria dignità.
Il suo diritto a vivere una vita normalmente “garantita” non è, dunque, un diritto riflesso, di risulta dalla condizione giuridica di chi deve o vuole dare questa “garanzia”. È un diritto assoluto: che la Repubblica deve “proteggere”. L’art. 31 della Costituzione, letto assieme all’art. 24 della Carta dei diritti dell’Unione, acquista così il suo pieno significato.
Quando la Carta Ue dice che «i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie al loro benessere», non subordina, quindi, questo diritto alle condizioni di stato civile di chi quella “protezione” può dare, quel “benessere” assicurare.
Aggiunge, anzi, qualcosa di più, rivolgendosi anche ai pubblici poteri: amministrativi, legislativi, giudiziari. Dice: «In tutti gli atti relativi ai minori, siano compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato prevalente». La tutela per i minori, prevista dalle leggi nazionali, è perciò innalzata al livello del diritto costituzionale europeo e delle sue Corti giudiziarie. Diventano allora impensabili costituzionalmente non solo le violazioni personali di tipo estremo, come in quei tristissimi casi italiani. Ma sono anche illegittimi i provvedimenti, compresi quelli legislativi, che non tengano conto della nuova realtà del minore-soggetto. La norma euro-costituzionale, infatti, non delega ad altri poteri l’operazione di “bilanciamento” fra diritti del bambino e altri eventuali interessi giuridici. Lo fa essa stessa, all’interno della sua formulazione, affermando, perfino con una significativa endiadi, la «preminenza dell’interesse superiore del minore».
Sulla base di questi principi giuridici, la sfera soggettiva del minore — e la tutela dei suoi diritti al benessere” — devono prevalere sulla valutazione delle condizioni oggettive delle coppie che ne rivendicano la “cura”: siano coppie legittime o di fatto; etero o omosessuali; incensurate o pregiudicate.
Ma c’è ancora, in questo pezzo di Costituzione europea che si intreccia con la nostra, un altro illuminante elemento. È il fatto che i “diritti dei minori” sono considerati sotto il titolo (e nel discorso) del principio di “eguaglianza”. Significa che questi diritti non si esauriscono in semplici formule sulla carta: ma implicano, com’è scritto nella Costituzione nazionale, azioni positive per «rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona ». Ed anche di questo fondamentale “compito della Repubblica” è bene ricordarsi: a proposito dell’incerto “stato” dei bambini in Italia.