Repubblica 11.3.16
Paure, speranze: un dissidente racconta il suo Paese
Le mie due Polonie tra buio del regime e inizi di Primavera
di Karol Modzelewski
La
forza della democrazia consiste tutta nel sostegno dei cittadini e
dunque la democrazia crolla se viene meno il consenso dei cittadini sui
princìpi e valori fondamentali della democrazia stessa. Lo scrivevo
alcuni anni fa in un mio libro ed è quello che purtroppo è in atto oggi
in Polonia: Diritto e giustizia, il partito al potere (e che fu già al
governo alcuni anni fa), non condivide i
fondamenti della
democrazia e sta assumendo un potere svincolato su tutte le istituzioni,
non solo governo e parlamento ma anche sistema giudiziario, sistema
amministrativo, polizia… Non è il fascismo, non è neppure il regime di
Putin in Russia, ma è già un governo che vuole che la sua polizia e in
primo luogo i “servizi speciali” possano agire senza più i controlli
giudiziari di uno Stato di diritto. Assomiglia moltissimo al potere che
si è instaurato in Ungheria con Orbán, e del resto il presidente di
Diritto e giustizia Jaroslaw Kaczynski lo aveva dichiarato: «Spero che
avremo Budapest a Varsavia». La sua tesi di fondo è che in Polonia,
nell’89, a partire dalla tavola rotonda governo comunista/Solidarnosc,
le prime elezioni semilibere, il primo governo non comunista del
dopoguerra presieduto da Masowieski, non vi è stato affatto il crollo
del comunismo e la nascita della democrazia bensì semplicemente un
accordo tra l’élite post-comunista con l’élite post-Solidarnosc che ha
portato alla formazione di un sistema oligarchico che ha trasformato
l’economia e l’organizzazione sociale a scapito della “vera Polonia”,
secondo le volontà dei governi occidentali e del capitale straniero. Ex
comunisti e ex Solidarnosc in combutta e tutti ladri, questa la retorica
che ha funzionato.
In questo patriottismo gioca ovviamente il
fattore religioso, la Madonna è la regina della Polonia, ma per il
partito di Kaczynski conta soprattutto padre Tadeusz Rydzyk e la sua
Radio Maryja. Un vero e proprio movimento sociale strutturato,
numericamente molto forte, radicato in moltissime parrocchie, e che
trova la sua base di reclutamento nel mondo contadino ma anche in
settori di quei ceti operai e popolari che prima della legge marziale
avevano dato vita a Solidarnosc. Un movimento sociale di massa
inquadrato nella Chiesa anche se non tutti i vescovi o preti ne sono
entusiasti. La Chiesa cattolica in realtà dopo l’89 è diventata elemento
del potere, ha imposto al parlamento la reintroduzione
dell’insegnamento religioso nelle scuole, il divieto dell’aborto (tranne
pochissimi casi estremi) e molte altre rivendicazioni confessionali.
Insomma si è attivata per clericarizzare le leggi e le istituzioni.
Intanto procede l’opera di smantellamento dello Stato di diritto. Non
solo la funzione di garanzia della Corte costituzionale è stata
annientata, ma il principio stesso di indipendenza della magistratura,
con la fusione tra la funzione di procuratore generale e ministro della
Giustizia. Ma dopo la giustizia toccherà, e anzi già tocca, a un altro
pilastro della balance of power, l’informazione indipendente. Tutti i
media pubblici sono passati sotto stretto controllo governativo,
televisione e radio hanno visto cambiare dirigenti e conduttori, quelli
di nuova nomina sono nei fatti commissari politici del partito Diritto e
giustizia. E indirettamente, tramite il ritiro della pubblicità di
imprese ed enti sotto influenza governativa, si è cominciato a
strangolare la stampa indipendente.
Se la capacità dei partiti
d’opposizione si dimostra per il momento risibile, la novità positiva è
invece una forte e forse inaspettata mobilitazione e resistenza da parte
della società civile. A fare da catalizzatore e strumento di
autorganizzazione è stata internet, e in questo modo, spontaneo e senza
leader, è nato il Comitato di difesa della democrazia che ha manifestato
la prima volta il 12 dicembre, per protestare contro la soppressione di
fatto della Corte costituzionale. Una manifestazione che ha destato
stupore per l’ampiezza e per il carattere assolutamente “dal basso”,
tramite il tam tam digitale, con cui era nata. Tra ventimila e
cinquantamila persone, per una città molto più piccola di Roma e in un
clima che sembrava ormai di definitiva apatia, è una cifra
notevolissima. Da brevi interviste ai manifestanti che si sono viste in
alcune tv e altri media, sono arrivato alla convinzione che il tratto
più forte di questi manifestanti è la volontà di riappropriarsi della
sovranità.
Un clima che non vedevo più in Polonia dal 1980-81.
Davvero qualcosa di straordinario. Il loro bisogno di cittadinanza
attiva, di esercizio della sovranità, costituisce una sorpresa
importantissima. Questo movimento è oggi molto più importante
dell’opposizione dei partiti in parlamento. Questo movimento spontaneo
animato da cittadini comuni fa paura al governo che non può usare la
retorica dei «comunisti, ladri, signore in pelliccia» contro chi
protesta. Questo movimento può mettere radici? Diventare un “soggetto”
stabile? Sinceramente non lo so. Non mi sembra che il crollo di Diritto e
giustizia sia prossimo, ma anche questa resistenza civile non mi sembra
un fenomeno passeggero.
Purtroppo la sinistra nella Polonia
libera è stata dominata dalla formazione postcomunista, che si è
prontamente convertita al modello di Blair e Schröder, cioè dei migliori
allievi di Margaret Thatcher. Questa “sinistra” non ha fatto nulla per
dare risposta alla frustrazione di massa di quei ceti popolari
emarginati, quelle masse operaie orfane dell’industria socialista. La
colpa delle sinistre del dopo ’89 è stata di occuparsi giustamente di
dare strutture e istituzioni alle libertà democratiche, dimenticando
però totalmente il problema dell’eguaglianza, che in democrazia è
essenziale. Si è occupata della liberté, lasciando cadere égalité e
fraternité! Ma senza eguaglianza e fratellanza che assicurino un grado
sufficiente di coesione sociale la libertà diventa fragilissima,
vulnerabile, a repentaglio.
Si è ripetuto come una giaculatoria
che al piano liberista non c’erano alternative. È lo slogan dell’immensa
e influentissima corrente neoliberista di pensiero che ha dominato gli
Stati Uniti e l’Europa intera, e da questo punto di vista ovviamente si
può dire che non esistesse alternativa. Ma l’alternativa esisteva, nel
senso che ci sarebbe voluta una forza politica consapevole di un
progetto diverso, con un peso elettorale capace di influenzare il corso
delle cose. Questa forza avrebbe potuto imprimere gradualità alla
trasformazione economica e alla riconversione delle aziende socialiste,
dato che si trattava di un potenziale economico non competitivo sul
mercato mondiale per avanzamento tecnologico e novità dei prodotti, ma
comunque di un patrimonio notevole, che era possibile modernizzare.
Purtroppo l’ideologia del cosiddetto Washington Consensus non
contemplava una trasformazione progressiva in cui lo Stato potesse
giocare un ruolo di “moderatore sociale”, ed è mancata una corrente
culturale e politica all’altezza di questa sfida.
Ma i risultati
in termini di diseguaglianza sono stati molto durevoli e profondi in
tutti i paesi dell’ex impero sovietico. Quello che è successo in tutto
questo mondo, e da noi in Polonia, è dunque in un certo senso un effetto
secondario del “pensiero unico” di filosofia economica che domina in
Europa, che caratterizza l’Unione europea. Una soluzione alternativa a
questo modo di pensare era possibile, ma nessuno ha provato a percorrere
tale via. E adesso ci troviamo di fronte alle conseguenze politiche che
con quelle premesse economiche erano più o meno inevitabili, e infatti
sono arrivate in Russia, sono arrivate in Ungheria, e arriveranno
altrove.
(Testo raccolto da Paolo Flores d’Arcais e rivisto dall’autore)