mercoledì 9 marzo 2016

La Stampa TuttoScienze 9.3.16
“Il cespuglio dell’evoluzione? Per i miei cinque ominidi non esiste”
Le nuove ricerche di Lordkipanidze in una grotta della Georgia “Quegli scheletri di 1,8 milioni di anni fa annullano molte specie”
di Valentina Arcovio

La storia della nostra evoluzione è da riscrivere. David Lordkipanidze, star della paleoantropologia e direttore del Museo nazionale della Georgia, è convinto che la soluzione all’enigma delle origini dell’uomo si celi a Dmanisi, il sito a 90 km da Tbilisi: qui si scava da oltre un decennio e i fossili finora riemersi e descritti per la prima volta nel 2013, in un clamoroso articolo su «Science», suggeriscono una teoria totalmente nuova: proveniamo da un’unica specie, che ha dato vita al genere Homo.
«Stiamo cambiando la visione finora consolidata», ha spiegato lo studioso la scorsa settimana a Roma, ospite di «GeorgiaOne», l’evento organizzato dall’associazione Scudo Di San Giorgio. La scoperta di un nuovo ominide - l’«Homo georgicus», così come è stata ribattezzata la specie a cui è appartenuto il più importante cranio fossile, lo «Skull 5» - suggerisce di dare una decisiva sfoltita al «cespuglio» che finora è stato la metafora più calzante per descrivere il nostro passato remoto. Homo erectus, Homo habilis, Homo rudolfensis, Homo ergaster e, appunto, Homo georgicus potrebbero fare tutti parte della stessa famiglia. «A Dmanisi - aggiunge Lordkipanidze - abbiamo scoperto una serie di scheletri risalenti a 1,8 milioni di anni fa. Ciò significa che i nostri antenati hanno lasciato l’Africa quasi un milione di anni prima di quanto si fosse pensato finora. La colonizzazione del Pianeta è da rivedere e, quindi, in diverse zone della Terra sono esistiti ominidi con caratteristiche simili».
Le sue indagini si concentrano sui crani di cinque individui, diversi per sesso e per età, ma contemporanei: un maschio anziano e privo di dentatura, due maschi maturi, una giovane donna e un adolescente di sesso ignoto. Ed è a quest’ultimo a cui appartiene il cranio «Skull 5»: è il più completo e antico del genere Homo mai scoperto e fa da faro alle nuove ipotesi. «Lo “Skull 5” - aggiunge - ha una scatola cranica piuttosto piccola, il volto allungato, la mascella superiore quasi scimmiesca, grandi denti. Elementi che rimandano alle antiche specie africane. Gli altri crani, invece, mostrano caratteristiche che richiamano quelle del più moderno Homo erectus».
Confrontando i fossili, tramite Tac e modelli tridimensionali al computer, Lordkipanidze sostiene che le differenze non sono così marcate da giustificare la separazione in specie diverse. «I cinque individui di Dmanisi sono vistosamente diversi - sottolinea - ma non sono più diversi da come lo sarebbero cinque umani moderni o cinque scimpanzé. Come se confrontassimo Danny Devito e Shaquille O’Neal: non sembrano appartenere alla stessa specie, ma in realtà è così».
E continua: «Dall’analisi statistica dei dati relativi a reperti di Homo erectus, Homo rudolfensis e Homo ergaster le variazioni dei fossili non sono molto diverse da quelle dei cinque scheletri di Dmanisi ed è quindi probabile che anch’essi appartenessero alla stessa specie». Mentre ribalta decenni di studi, Lordkipanidze non esclude la presenza di altre specie «Homo». Ma - ribadisce - probabilmente alcune andrebbero riviste.
Dmanisi, d’altra parte, è una miniera di informazioni. Non solo per i paleoantropologi, ma per archeologi e biologi: sta emergendo una ricca fauna fossile, con resti di animali come la tigre dai denti a sciabola, oltre a giraffe ed elefanti. E non mancano gioielli di epoche più recenti. Le ricerche continuano e così la controversia che sta facendo litigare il mondo della paleoantropologia.
Forse le risposte a tutti questi interrogativi si celano proprio a Dmanisi. Conclude Lordkipanidze: «I nuovi studi ci daranno l’opportunità di capire: sia come vivevano gli ominidi sia la verità sulla specie Homo».