La Stampa 5.3.16
È cinese la maxi-catena dei cinema Usa
L’America vende Hollywood all’Asia
Wanda compra le sale Carmike ed è il maggiore operatore. La Miramax al Qatar
di Paolo Mastrolilli
Un
tempo lo spauracchio era la colonizzazione giapponese, ma ora Hollywood
non sa più dove voltarsi prima, per proteggersi le spalle. Cinesi,
arabi, e chissà chi altro si prepara a lanciare il prossimo assalto.
Oppure non intende minimamente difendersi, perché i soldi non hanno
odore e gli investimenti sono sempre benvenuti, in particolare se
arrivano da mercati in rapida espansione.
La riflessione diventa
inevitabile dopo le notizie degli ultimi tempi. Ieri è arrivato
l’annuncio che i cinesi del Wanda Group, già protagonisti a gennaio
dell’acquisto dello studio di Jurassic World Legendary Entertainment per
3,5 miliardi di dollari, hanno comprato la catena di sale
cinematografiche Carmike Cinemas.
Per la precisione è stata la Amc
Entertainment, compagnia già posseduta dalla Wanda che controlla 5.425
schermi, ad acquistare Carmike, che ne gestisce 2.954, per la cifra di
1,1 miliardi. Un matrimonio perfetto, perché la prima opera soprattutto
nei centri urbani, mentre la seconda nelle periferie, e quindi le loro
sale non si sovrappongono.
In questo modo è nata la più grande catena di distribuzione cinematografica americana, superando la Regal.
Due
giorni fa il BeIn Media Group del Qatar, in sostanza l’ex divisione
sportiva di al Jazeera, ha comprato la Miramax da un gruppo di
investitori guidato dal fondo Colony Capital. Per chi non lo ricordasse,
questo studio ormai storico era stato fondato nel 1979 dai fratelli
Harvey e Bob Weinstein, per sviluppare il cinema indipendente.
Aveva
avuto così tanto successo - producendo da Pulp Fiction a Shakesperare
in Love, fino al Paziente inglese e Non è un paese per vecchi - da
trasformarsi nell’establishment. Molti altri studios lo avevano imitato,
creando le proprie case indipendenti. Nel 1993 la Disney aveva
acquistato la Miramax per 60 milioni, lasciando la gestione ai fratelli
Harvey e Bob, che però nel 2005 l’avevano lasciata per fondare la
Weinstein Company.
Nel 2010 avevano cercato di ricomprarla, quando
la Disney l’aveva messa sul mercato, ma erano stati battuti dai 660
milioni offerti da Colony Capital. Ora il cerchio si chiude, e mentre la
Miramax ha ripreso ad investire in produzioni come il nuovo Bridget
Jones e Southside With You, che racconta la storia d’amore fra Barack e
Michelle Obama, arrivano gli arabi con l’intenzione di «crescere
nell’industria dell’intrattenimento e sviluppare nuovi contenuti».
Entrambe
le mosse hanno senso economico. La Wanda sta sviluppando il mercato
cinematografico cinese, che l’anno scorso ha fatto incassi per 6,78
miliardi di dollari, piazzandosi subito alle spalle di quello americano:
creare una struttura che opera in entrambi i Paesi è logico, per chi
vuole espandersi. Il BeIn Media Group invece si sta posizionando come il
leader nel mondo arabo e in Africa, e quindi ha bisogno di produrre più
contenuti, appoggiandosi a qualcuno già pratico del settore. Per
Hollywood, poi, questi investimenti rappresentano un’occasione per
crescere.
Nello stesso tempo, però, è inevitabile chiedersi se non
sia in corso anche una colonizzazione culturale. Il presidente del
Wanda Group, Wang Jianlin, ha servito a lungo nell’esercito della
Repubblica Popolare e non fa mistero di appoggiare, o essere strumento,
delle ambizioni espansionistiche del suo governo.
Al Jazeera ha un
ruolo politico molto chiaro, mentre il Qatar è stato spesso accusato di
finanziare almeno indirettamente l’estremismo islamico, a partire da
gruppi terroristici come l’Isis. Magari non useranno Hollywood per
promuovere queste cause, ma di certo rafforzano l’apparato culturale di
due sistemi quanto meno in competizione con quello americano e
occidentale.