La Stampa 31.3.16
La Ue pensa a controlli sullo stile di Tel Aviv
di Francesca Paci
Gli
 attentati di Bruxelles hanno riacceso i riflettori sulla vulnerabilità 
delle nostre città e degli aeroporti fino a persuadere il comitato Ue 
per la sicurezza a riunirsi oggi per discutere eventuali nuove misure 
capaci di proteggere gli scali europei più di quanto fosse Zaventem. 
L’ipotesi degli esperti è l’adozione del «modello Tel Aviv», il sistema,
 in cui bagagli e passeggeri incrociano il metal detector prima di 
entrare, introdotto all’aeroporto Domodedovo di Mosca dopo il kamikaze 
del 2011. I costi (un 10% in più) e l’impossibilità d’una blindatura 
garantita porteranno probabilmente a «raccomandazioni non vincolanti», 
ma il dato è la presa di coscienza che non esiste rischio zero e che, 
come in Israele, c’è da imparare a conviverci.
Al Ben Gurion 
International Airport, una delle strutture più impermeabili del mondo, i
 controlli «preventivi» sono due. Il primo è una sorta di casello, a 
circa un chilometro dalle partenze (e dagli arrivi), dove vengono 
fermati taxi, auto o bus e controllati documenti, biglietti, 
portabagagli. Il secondo è appunto il metal detector vero e proprio 
nella hall in cui circolano cani anti-esplosivi. Ma la forza del 
«modello Tel Aviv» è probabilmente più nel «filtraggio umano» e 
d’intelligence che in quello tecnologico: gli addetti alla sicurezza 
«intervistano» prima i viaggiatori, sondano incongruenze. pongono 
domande apparentemente bizzarre ma evidentemente studiate, e poi, muniti
 di guanti e sensori, aprono i bagagli già «vivisezionati» dai raggi X 
sotto i mille occhi delle telecamere. In realtà, passati tutti questi 
varchi, c’è poi un terzo metal detector a pochi metri dal controllo 
passaporti.
 
