mercoledì 30 marzo 2016

La Stampa 30.3.16
Migranti, il patto Ue-Turchia “sta andando molto male”
A Bruxelles sono convinti che l’intesa non abbia risolto ancora nulla
di Marco Zatterin

Ai piani alti della Commissione Ue stanno pensando a una missione d’urgenza ad Ankara. «L’accordo coi turchi sta andando male», ammette una fonte di peso. Avanza piano l’attuazione dell’intesa che deve imbrigliare i flussi dei rifugiati verso l’Unione, il patto siglato a «Ventotto più uno» il 18 marzo. Gli sbarchi sono calati, ma le ripartenze sono minime, 70 al giorno. I greci non hanno ancora riconosciuto la Turchia quale «Paese sicuro» per i rimpatri e i turchi non hanno varato le misure che stabiliscono la tutela piena per i profughi del Dodecaneso. Ferma la rilocalizzazione interna all’Ue. Il coordinatore Ue, Martin Weber, è in viaggio per la Mezzaluna. Potrebbe seguirlo il titolare di cattedra, Dimitris Avramopoulos. La realtà è amara: dopo due settimane non è successo un gran che.
I tecnici sono preoccupati e i politici lo sanno. Il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, giura di aver «fiducia sul fatto che si faranno progressi nella messa in pratica del piano turco, d’accordo con le nostre regole». Però, aggiunge, «non dobbiamo dimenticare che abbiamo ancora lavoro da fare sulle altre rotte migratorie in Europa, compresa quella del Mediterraneo centrale, ed è su questo che si dovremo concentrare», cioè sulla Libia e sull’Italia. L’azione si svolge in un contesto di deficit di solidarietà amplificato dagli assalti terroristici che gonfia la sfiducia sul principio dello scambio «uno a uno» introdotto dal patto: per ogni siriano e illegale rispedito in Turchia, i Ventotto s’impegnano ad accogliere un rifugiato direttamente pescato dai centri anatolici. L’idea è che sia un deterrente, anche se il limite posto dall’Ue è di 72 mila persone, soglia oltre la quale serve un altro accordo, o si chiudono le porte. Ma poi cosa succederebbe a chi fugge dalle guerre? Avrà scelta se non rimanere in Turchia?
La Commissione rivela che «c’è stato un netto calo degli arrivi». Complice il cattivo tempo, dai 1.667 arrivi di domenica 20 si è scesi ai 192 di lunedì. È un buon dato, però «le cose possono cambiare in un istante» e in effetti si registrano incognite ovunque, a partire dal fatto che l’accordo si tiene sul rispetto del diritto internazionale che nega la possibilità dei respingimenti di massa e impone il rispetto delle convenzioni internazionali. Quest’ultima clausola richiede che la Turchia vari una legge sulla garanzia della protezione ai siriani. Sempre i turchi, per ottenere la liberalizzazione dei visti nel semestre, devono centrare entro maggio 35 criteri su cui lavorano da anni. Difficile. Ma senza questo, Erdogan potrebbe far saltare i patti.
In Grecia c’è il nodo degli hotspot che, per Onu e ong, sono «centri di detenzioni». Avramopoulos è andato a Ginevra a spiegarsi con l’Unhcr. «Non ci saranno respingimenti automatici, bensì caso per caso», dice un portavoce Ue. Non potendo allontanare i siriani, i rimpatri verso la Turchia sono una settantina al giorno: pachistani, marocchini, algerini. Nel frattempo siamo lontani dai 4mila funzionari Ue che servono per registrare chi aspira all’asilo. Passare dalle belle parole ai fatti non è parso mai così complesso.