mercoledì 30 marzo 2016

La Stampa 30.3.16
Quell’ultimo incontro sull’uscio di casa
un abbraccio che sapeva di premonizione
di Marco Belpoliti

«Hai già in mente un piano di battaglia?». Così Primo Levi approccia il suo aspirante biografo, Giovanni Tesio, che si reca da lui il 12 gennaio 1987 per scrivere una «biografia autorizzata». Lo fa con il solito spirito pratico che lo distingue. Mancano solo tre mesi alla sua scomparsa, ma nessuno dei due interlocutori lo sa ancora, del resto come avrebbero potuto? Tutto nella vita è imponderabile, a maggior ragione un atto estremo come il suicidio.
Tesio, critico letterario, è uno dei più fedeli lettori di Levi. A metà degli Anni 70 si era accorto che la versione di Se questo è un uomo in circolazione non è identica a quella uscita nel 1947 presso un piccolo editore torinese, De Silva. Perciò aveva telefonato al chimico e l’aveva incontrato. Levi, autore già di diversi libri, tra cui, nel 1975, Il sistema periodico, era uno scrittore ancora sconosciuto alla critica letteraria, che non aveva certo dimostrato di apprezzarlo a pieno.
Tesio lo incontra e ha in cambio un quaderno su cui Levi ha appuntato le varianti tra l’edizione del 1947 e quella del 1958 da Einaudi; scriverà un articolo di confronto assai importante e utile. Anni dopo avrà anche il quaderno manoscritto della Tregua, dove è stato scritto gran parte di quel magnifico libro. Lo custodirà per trent’anni. Il rapporto con Levi sarà quindi costellato di recensioni e brevi interviste. Poi, negli ultimi mesi di vita dello scrittore, gli viene l’idea di scrivere una biografia. Il libro che oggi esce, Io che vi parlo (Einaudi), è la sbobinatura dei nastri registrati in tre incontri, una sorta di lunga premessa alla biografia ancora da scrivere, un orientamento, ma anche una raccolta di notizie.
L’intervistatore parte col chiedergli della sua famiglia, del padre e della madre; la seconda è ancora viva e, per quanto malferma, ben presente nelle stanze accanto a dove avviene la registrazione. Ogni tanto Levi chiede di spegnere il registratore e parla di cose di cui non vuole che resti traccia. Sono solo tre incontri, da gennaio a febbraio, il tempo di descrivere i vari rami della famiglia, il nonno morto suicida, il padre ingegnere, la scuola, gli insegnanti, alcuni amici. Chi non conosce la biografia dello scrittore nei minimi particolari troverà cose interessanti sulla sua giovinezza, sulla genealogia famigliare, sui traumi giovanili, ma anche chi sa a menadito la vita del chimico torinese reperirà dettagli biografici nuovi e curiosi.
La vita di Levi è una fonte di continue scoperte. Dalla biografia mancata di Tesio si capisce che la gran parte dei materiali da cui Levi ha tratto le sue opere sono di tipo autobiografico, a partire ovviamente dalla deportazione ad Auschwitz, per passare ai libri seguenti, tutti derivati dalla sua vita che avventurosa, nonostante tutto, non è stata. Uno degli aspetti che questa intervista ci restituisce è la storia della lunga crisi che Levi ha attraversato da adolescente, una difficoltà a vivere e ad avere rapporti con il mondo, con le ragazze in particolare.
Ben prima del Lager, come sa chi ha letto con attenzione le pagine dell’autobiografia da chimico, Il sistema periodico, Primo aveva conosciuto delle depressioni. Per quanto paradossale, il Lager era stata una stagione positiva, tanto che a Philip Roth, che lo intervistò negli Anni 80, confessò che il periodo trascorso ad Auschwitz era stato in technicolor, mentre il resto della vita in bianco e nero. E non era solo un fatto di memoria impressiva. Ritornato a Torino dopo il lungo viaggio all’Est, il giovane chimico era entrato in uno stato di sofferenza molto grave attestato dalle poesie che scrive. Ma poi la conoscenza con Lucia Morpurgo, il reciproco riconoscimento e amore, lo salva da una deriva psichica che deve essere stata terribile.
Le tre conversazioni a microfono aperto con Tesio ci restituiscono l’immagine di un uomo complesso, che vive l’ebraismo in forma laica, che parla della sua scelta antifascista senza troppe reticenze, che sviscera il rapporto con il padre, mentre è più reticente su quello con la madre, donna intelligente e acuta dalla forte personalità. Ci sono dettagli sugli zii che sembrano già racconti in potenza, simili a quelli presenti nella sua opera. Emerge la figura di Vanda Maestro, di cui era innamorato e che aveva condiviso con lui, e con altri amici, la breve vicenda partigiana in Val d’Aosta e poi la deportazione. Vanda non era più tornata e il suo fantasma aleggia in queste pagine in modo ancora dolente.
Al suo interlocutore Levi dice che le confessioni che gli fa sono «da tradurre», ossia da interpretare. Ora noi le leggiamo senza traduzione, ma sono passati anche diversi decenni e la sua immagine è molto cambiata. Poi di colpo gli incontri s’interrompono. Levi sta male, è depresso. Tesio torna da lui per dargli un suo libro. L’incontro è brevissimo, tutto consumato sull’uscio di casa. Per la prima volta, dice, Levi lo abbraccia nel congedarlo, cosa che prima non aveva mai fatto. Una premonizione.