lunedì 21 marzo 2016

La Stampa 21.3.16
“Non nascondo l’assassino e non ho mai confessato ciellini”
Parla don Baroncini, sacerdote nel mirino degli inquirenti
di Giacomo Galeazzi - Marco Grasso - Ilario Lombardo

È il principale sospettato della procura di Milano. Come rivelato da La Stampa, è su don Fabio Baroncini, 74 anni, tra i fedelissimi di don Luigi Giussani sin dalla fondazione di Cl, che si stanno indirizzando gli inquirenti: pensano potrebbe essere lui quel “D” annotato dalla supertestimone Patrizia Bianchi nella sua agenda dopo la confidenza ricevuta da Stefano Binda. E’ don Baroncini il prete che ha raccolto la confessione del presunto assassino di Lidia?
Don Fabio è vero che lei durante l’incidente probatorio ha detto di essere tenuto al segreto confessionale?
«C’è un piccolo particolare che ho messo in luce durante l’incidente probatorio: io non ho mai confessato alcun ragazzo di Cl».
Lei non ha mai ricevuto in confessione un pentimento o altre notizie sul delitto?
«In Cl è sempre stata prassi che i ragazzi del Movimento non si confessassero con la loro guida. Questo era l’insegnamento di don Giussani: diceva che se l’educazione funzionava, non c’era bisogno che fossimo noi a confessarli».
Anche ai magistrati ha fatto questa distinzione tra il ruolo di guida e quello di confessore?
«Certo: il confessionale è aperto a tutti e riguarda solo i peccati. La guida spirituale aiuta a realizzare la propria vocazione personale. Se uno mi avesse chiesto una mano gli avrei dato la seconda».
Ma qualcuno gli ha chiesto aiuto dopo l’omicidio?
«Se avessi saputo chi è l’assassino avrei fatto fatica a portarlo da loro sano e salvo, perché la reazione all’interno della comunità di Cl era stata devastante, gente che voleva vendicarsi con le proprie mani. Con me prima o poi sarebbe saltato fuori. Avevo 45 gruppi di Cl nelle varie parrocchie. Se dicevo una cosa si muovevano tutti insieme».
Che ricordi ha di Lidia?
«Lidia era trasparente e atleticamente formidabile. L’ho detto ai magistrati: non si sarebbe fatta toccare da qualcuno per cui non provasse affetto»
Binda era legato a lei?
«È stato mio allievo al Liceo, nell’ultimo anno che ho insegnato, me lo ricordo in fondo alla classe. Mi è sempre sembrato un ragazzo intelligente ma non sapevo facesse uso di droga».
E Sotgiu?
«Sotgiu curava Binda. Dietro mia indicazione, privilegiava il rapporto con lui. Don Giussani ci ha insegnato a stare attenti ai ragazzi più intelligenti, sono quelli che guidano una classe con la forza della loro personalità. Allora dissi a Sotgiu, che era di antica tradizione cristiana, di avere cura di lui. Poi Sotgiu infatti è diventato prete, a Torino. Lo avrei indirizzato a Milano»
Dopo aver saputo dell’arresto di Binda cosa ha pensato?
«Speriamo che abbiano delle prove in mano. Perché mettermi dentro un ragazzo così…con i tempi che corrono e la magistratura che abbiamo ci andrei molto adagio. Un mio confratello (don Antonio Costabile, scagionato solo nel 2014) è stato accusato per 29 anni di essere un assassino. E’ un pasticcio».