lunedì 21 marzo 2016

Corriere 21.3.16
Stipendi d’oro, fidi e consulenze Tutte le accuse al cda di Etruria
I tre filoni dell’inchiesta in cui è indagato anche il padre del ministro Boschi
di Fiorenza Sarzanini

ROMA Una richiesta formale al giudice per ottenere il sequestro della cifra concessa come indennizzo all’ex direttore generale Luca Bronchi. E così ottenere la certificazione che quell’accordo per l’esborso di un milione e duecentomila euro tra il consiglio di amministrazione e il manager era illegittimo.
Per questo la Guardia di Finanza ha già acquisito la delibera di approvazione dell’intesa e adesso verificherà quanto accaduto nel corso della seduta del consiglio del 30 giugno 2014, prima dell’uscita del manager dall’istituto di credito.
I tre filoni
La Procura di Arezzo procede spedita nell’inchiesta sulla bancarotta di Banca Etruria che ha fatto finire nel registro degli indagati i quindici componenti del consiglio di amministrazione in carica prima del commissariamento deciso nel febbraio 2015, guidato dal presidente Lorenzo Rosi e dai suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena.
Ed esamina le contestazioni contenute nella dichiarazione di insolvenza del tribunale e nella relazione degli ispettori di Bankitalia, concentrandosi su tre filoni: gli esborsi per gli altri «stipendi d’oro»; le consulenze elargite a pioggia, spesso inutilmente; i finanziamenti concessi a società che erano in conflitto di interessi con gli stessi amministratori. La convinzione è che queste operazioni siano state autorizzate nonostante fosse evidente che avrebbero portato l’istituto al fallimento vista la situazione patrimoniale già drammatica.
L’istanza al gip
Con la richiesta al gip i pubblici ministeri guidati dal procuratore Roberto Rossi cercheranno di bloccare i beni di Bronchi e lo accusano di concorso nel reato di bancarotta proprio con i membri del cda. La decisione è prevista dopo pasqua, ma non è escluso che possa arrivare addirittura entro la fine di questa settimana. Un’accusa analoga potrebbe scattare a questo punto per il responsabile Marketing Fabio Piccinini che aveva percepito una buonuscita da 125 mila euro. Ma non solo. Ci sono infatti altre due contestazioni degli ispettori. La prima riguarda «la partecipazione alle spese legali e processuali dell’ex presidente del cda Giuseppe Fornasari decisa dagli amministratori senza prevedere l’eventuale ripetizioni di dette spese in caso di soccombenza».
Ma ancor più grave viene ritenuto quanto stabilito per «la definizione e remunerazioni del nuovo direttore generale Daniele Cabiati». Denuncia infatti Bankitalia: «Non sono state rispettate le policy aziendali. In particolare si è rilevato che la lettera inviata l’8 agosto 2014 al dottor Cabiati, a firma dell’allora presidente Lorenzo Rosi, introduce la possibilità di riconoscergli una retribuzione variabile da 300 mila euro contrariamente a quanto indicato nel documento sulle “politiche di remunerazione” approvato dall’assemblea dei soci del 4 maggio 2014. Si aggiunge che gli obiettivi aziendali a cui detta retribuzione è subordinata si sarebbero dovuti indicare in una successiva comunicazione che invece non è stata rinvenuta agli atti».
I «fidi» agli amici
Un filone dell’inchiesta, dove sono indagati Rosi e il consigliere Luciano Nataloni per non aver dichiarato il conflitto di interessi, contesta la concessione di finanziamenti a società che erano riconducibili agli stessi due amministratori e su questo sono già in corso da tempo le verifiche della Guardia di Finanza. Adesso dovranno essere svolti nuovi accertamenti sul ruolo di altri componenti del cda che hanno invece dichiarato espressamente il conflitto ma hanno ottenuto ugualmente i «fidi» per verificare la regolarità delle procedure e soprattutto l’esistenza di garanzie. Si tratta, come denunciano gli ispettori di Bankitalia, di «198 posizioni per un importo totale accordato al 30 settembre 2014, di circa 185 milioni di euro».
Nella relazione si evidenzia che «non sono state osservate da parte di vari esponenti aziendali le prescrizioni in tema di conflitti di interesse» specificando come «la proposta di definire un perimetro dei potenziali interessi degli esponenti era stata rigettata dal cda perché — come riferito in una relazione della Compliance — avrebbe rischiato di “ingessare” l’attività dell’organo di supervisione strategica» del quale faceva parte lo stesso Boschi.