il manifesto 22.3.16
Le sinistre alla prova dell’austerità
Europa.
 Tre giorni ad Atene in un convegno assai poco accademico. Un lungo 
week-end, per un incontro tra partiti e forze sindacali. E l’Europa a 
capotavola
di Luciana Castellina
È quasi 
impossibile dar conto di un convegno durato tre giorni (sei sessioni, 
due eventi pubblici, decine di relatori). Un centinaio di partecipanti, 
un terzo stranieri, promosso da Syriza, dal Partito della sinistra 
europea, da Transform e dalla «Fondazione Pulanzas»: «Alleanza contro 
l’austerità e per la democrazia in Europa». Non i soliti esperti delle 
oscure cose europee, o, almeno, non solo, anche non pochi accademici e 
però poco accademici.
Uno soprattutto, fantastico, dell’orribile 
Ungheria, che ha detto fra l’altro: «non serve un piano per i profughi, 
serve un piano per la pace e dubito che la Turchia stia lavorando per 
questo». C’erano – dicevo – politici di primo piano : da Alexis Tsipras 
al suo vice primo ministro Dragasakis e parecchi altri sottosegretari 
per parte greca; Marisa Matias, che era stata la candidata alla 
presidenza della Repubblica per il Bloque de Isquerda, ora alle prese 
con la inedita esperienza di essere nella maggioranza governativa del 
Portogallo; Tania Gonzalez Penas, la più votata di Podemos alle ultime 
elezioni di Spagna dove, invece, un governo non si riesce a fare (e per 
questo Iglesias non è potuto venire di persona e ha mandato un lungo e 
caloroso saluto) ; Gregor Gisy, spiritoso come sempre, e Gaby Zimmer, 
presidente del Gue al Parlamento Europeo, per la Linke; Declan Kearney, 
l’assai euforico presidente del Sin Fein, oggi un ragguardevole partito 
parlamentare, e io faccio tutt’ora fatica a stabilire un legame, pur 
strettissimo, fra il partito di oggi, e gli armatissimi militanti 
dell’Ira che nei primissimi mesi di vita del manifesto intervistai in 
una rocambolesca gita attraverso l’Irlanda, paese raggiunto grazie al 
fatto che, avendo vinto un biglietto d’aereo a una gara di sci, il 
giornale aveva potuto permettersi il viaggio; infine la tradizione, 
Pierre Laurent, segretario del Pcf, e una novità, il messaggio di Geremy
 Corbin, inatteso sorprendente leader del Partito Laburista.
Ad 
alto livello – e anche questa è una novità – parecchi esponenti dei 
partiti Verdi tedesco, austriaco, danese, e un paio di rappresentanti 
della sinistra del Psf, che, sebbene si noti poco di questi tempi nella 
Francia di Hollande, all’ultimo congresso di quel partito aveva preso 
ben il 40% e insiste per un fronte comune con le forze raccolte nel Gue.
 Insomma: la nostra sinistra si rinnova, e si allarga. Ancora poco 
all’est, che pure era questa volta finalmente presente, almeno con 
qualche associazione o intellettuale.
Con commozione ho 
riabbracciato Jan Kavan, ben conosciuto da tutti i pacifisti degli anni 
’80, perché era il nostro riferimento in Cecoslovacchia, uno dei pochi 
che pur essendo dissidente non invocava l’intervento della Nato, ma si 
batteva come noi per un’Europa fuori dai blocchi e perciò venivamo 
indicati dalla Cia come agenti del Kgb e dal Kgb come agenti della Cia. 
Caduto il Muro, Jan divenne persino ministro, ma per poco: dissentiva 
anche dal nuovo regime anticomunista. Con qualche ragione.
E poi 
c’erano i sindacati: folta e autorevole la partecipazione italiana, 
della Fiom e della Cgil, le Commissioni Obreras, la Cgt francese e la 
Confederazione belga. Anche su questo tema, una discussione concreta, 
per affrontare l’offensiva in atto ovunque contro il sindacato (e dunque
 per smantellare un caposaldo del modello europeo) impegnandosi non solo
 a difendersi ma a conquistare diritti che nell’Unione europea non sono 
mai stati riconosciuti, né ci si è mai veramente battuti per avere: per 
cominciare il diritto a convocare scioperi transfrontalieri da parte 
delle Confederazioni europee relegate al ruolo di uffici studi più che a
 quello di strumenti di lotta.
Il tema sindacato in Grecia è un 
dente che duole: la Gsee, dei lavoratori del settore privato, è 
egemonizzato dal Pasok e dal Kke (il partito comunista ) è in queste 
stesse ore, riunito a Congresso a Rodi, è in subbuglio perché questi due
 partiti si sono alleati per escludere i rappresentanti di Siryza e 
della destra dagli organismi dirigenti, provocando contestazioni e anche
 ricorsi. Anche la Adedy, il sindacato del settore pubblico, è 
controllato dalla vecchia burocrazia del Pasok. Difficile superare 
questa debolezza storica in una situazione in cui il governo Tsipras è 
costretto dal Memorandum a tagliare il welfare, sebbene con più equità 
possibile. I rappresentanti del sindacato dei lavoratori del porto del 
Pireo sono presenti: in grande sofferenza per via delle conseguenze 
indotte dalla “imposta” privatizzazione in corso.
Il clima sociale
 è teso in Grecia e sarebbe ingenuo aspettarsi che così non fosse. Ne 
abbiamo avuto la prova anche al convegno dove ha fatto irruzione un 
drappello di ragazzi con uno striscione polemico. Parlano arrabbiati, 
non avranno la pensione, nessuna prospettiva di vita. Anche il tema 
immigrazione è causa di turbamento: il governo ha firmato l’orribile 
accordo europeo e lo stesso Tsipras ci spiega che, altrimenti, gli 
avrebbero scaricato migliaia e migliaia di rifugiati in Grecia, dove è 
facilissimo approdare, e dove però non c’è, nelle condizioni attuali, la
 possibilità di poterli integrare.
Ho sottolineato il livello e la
 pluralità della partecipazione perché è l’indice di due cose 
importanti: finalmente c’è davvero interesse per le cose europee, fino 
ad oggi normalmente oggetto di incontri distratti, come del resto tutti 
quelli promossi dai fantomatici partiti europei di ogni colore, quelli 
di cui a suo tempo Willy Brandt diceva che erano il luogo migliore per 
andar a leggere i propri giornali. Il livello del dibattito non formale –
 sugli immigrati, sulla svolta ecologica, sull’economia – ha dimostrato 
che finalmente la sinistra ha cominciato a occuparsi d’Europa sul serio.
 Merito della crisi, certamente, che ha imposto il tema; ma anche di 
Syriza, che in questo ultimo anno ha reso l’Unione Europea un campo di 
battaglia e non più il titolo di qualche seminario.
In secondo 
luogo emerge anche che “qualcosa a sinistra si muove”: con tutti i 
limiti che restano oggi un soggetto di sinistra a livello europeo 
comincia a vedersi. Anche la sinistra italiana era ben rappresentata: 
oltre all’Arci, Sisel, i comitati Tsipras, Rifondazione Comunista. 
Potremmo dire: troppi. E infatti, come in ogni occasione, gli italiani 
sono sempre tanti, ma non hanno diritto di figurare al tavolo maggiore, 
cui hanno accesso solo i paesi dove a sinistra c’è un solo, indiscusso 
partito di sinistra. Che da noi ancora non c’è (per questo è così 
importante il processo costituente avviato con Cosmopolitica).
 
