il manifesto 19.3.16
Riforme e diritti, l’inevitabile unione
di Massimo Villone
Si
è tenuta a Roma un’assemblea, affollata e partecipata, dei comitati
referendari, per il lancio della campagna per la raccolta delle firme.
Un passaggio importante, soprattutto per aver visto insieme i promotori
dei referendum istituzionali e di quelli sociali. Perché un forte
iniziativa referendaria? Rodotà ha scritto (su Repubblica) di come le
nostre istituzioni siano diventate indisponibili all’ascolto, traendo
anche da questo la spiegazione del drammatico calo di fiducia degli
italiani. Ha ragione. Perché e come fidarsi di istituzioni indifferenti?
Il
sostanziale dissolversi dei partiti, e l’emarginazione dei sindacati da
parte del governo, unitamente alla caduta di rappresentatività delle
assemblee elettive, hanno azzerato i sensori che rendevano le
istituzioni aperte e percettive rispetto agli orientamenti del paese. Ed
ecco l’indifferenza verso manifestazioni, scioperi, petizioni, leggi di
iniziativa popolare, per quanto fortemente sostenute. Ecco l’illusione
che l’arte del governare sia decisione e comando piuttosto che confronto
e sintesi. Ecco la caricatura di una democrazia in cui i cittadini
siano usi a obbedir tacendo. E dunque il referendum rimane l’unico
strumento attraverso il quale il popolo sovrano possa riguadagnare il
ruolo garantito dalla Costituzione.
Proprio per questo il governo
teme i referendum. Ha lasciato in piedi solo uno dei referendum No-Triv
delle regioni. Per questo ha scelto la data del 17 aprile, nella
speranza di farlo fallire per mancato raggiungimento del quorum. Lo
stato maggiore del Pd attacca con il trito argomento del costo,
dimenticando che proprio il governo ha rifiutato l’accorpamento con le
amministrative che avrebbe evitato la spesa. E altresì argomentando che
con il Sì il popolo sovrano reca danno al paese. Ma come può dirlo chi
va ad approvare una nuova Costituzione insieme al condannato Verdini,
tassista di una nuova maggioranza?
Perché referendum istituzionali
e sociali insieme? Non è una bulimia referendaria, né una sommatoria
per fare numero. È invece importante far convergere nella battaglia
referendaria mondi diversi, per dare il segnale che una parte importante
del paese chiede con forza un cambio di rotta.
Per questo una
stagione referendaria ad ampio spettro, che partirà con il voto del 17
aprile e la raccolta delle firme, passerà per il cruciale No alla
riforma costituzionale in ottobre, e si concluderà nel giorno in cui la
metà più uno degli aventi diritto – questo è l’auspicio – andrà a votare
si ai referendum abrogativi delle leggi renziane.
D’altronde la
connessione tra referendum istituzionali e sociali è nelle cose.
L’attuale degrado politico-istituzionale avviene con la Costituzione
vigente, prima della riforma. Questo dimostra che un No alla riforma può
certo evitare maggiori guai, ma non basta a tirarci fuori dalla palude
in cui siamo caduti.
Non si può non guardare anche alla legge
elettorale. Se dovesse rimanere in piedi il modello Italicum, ne
verrebbe un parlamento non migliore – anzi peggiore – di quello del
Porcellum. Quanto resisterebbero i risultati conseguiti dai referendum
sociali in un tale parlamento?
L’esperienza dell’acqua pubblica
insegna che il referendum può abbattere una legge, ma non cancella
l’indirizzo politico che la esprime, e che può ripristinarla tradendo la
volontà popolare. Cosi domani un referendum vittorioso sulla cattiva
scuola potrebbe essere azzerato da una scuola peggiore. Solo i
referendum istituzionali possono creare condizioni in cui i risultati
dei referendum sociali non siano fatalmente effimeri.
Dobbiamo
anche considerare che se vincesse sulla riforma della Costituzione,
Renzi vorrebbe probabilmente sfruttare il successo con uno scioglimento
anticipato e nuove elezioni, che gli consegnerebbero istituzioni
riformate e un parlamento addomesticato. Un potere consolidato per la
legislatura.
Se ciò accadesse, i referendum abrogativi
slitterebbero al 2018. E di per sé il passare del tempo non favorisce
certo una battaglia referendaria.
Per questo bisogna impegnarsi,
da subito. Per la raccolta delle firme sui quesiti referendari, e il
voto del 17 aprile. Un voto che anche il governo ritiene importante. Non
chiede agli italiani di andare al mare solo perché l’acqua è ancora
troppo fredda.