il manifesto 16.3.16
L’ebreo Bernie Sanders non piace a Israele
Primarie
Usa. Al senatore del Vermont si rimproverano le critiche che ha rivolto
a Israele in varie occasioni e di aver "oscurato" le sue origini
ebraiche. Netanyahu non interviene ma al posto di Barack Obama
preferirebbe vedere un repubblicano, anche l'imprevedibile Donald Trump
di Michele Giorgio
Perché
gli israeliani preferiscono Hillary Clinton all’ebreo Bernie Sanders
per la nomination democratica? E perché Sanders piace sempre di più agli
americani di origine araba? Questi interrogativi restano ai margini
delle primarie Usa giunte ieri al nuovo super Tuesday in Florida, North
Carolina, Ohio, Missouri e Illinois. Potrebbero però diventare
importanti se il senatore del Vermont riuscirà a insidiare concretamente
la potente Hillary Clinton. Una possibilità remota. Comunque è
interessante che il primo ebreo americano impegnato in una corsa vera
verso la nomination non raccolga le simpatie degli israeliani. «I motivi
sono diversi» ci spiega l’analista Eytan Gilboa, docente all’Università
Bar Ilan di Tel Aviv (un laboratorio politico della destra israeliana)
«Sanders sembra nascondere la sua origine ebraica, non la manifesta con
orgoglio e questo non piace alla popolazione israeliana e ai suoi
rappresentanti politici». Un altro motivo, aggiunge Gilboa «è il suo
orientamento socialista che insospettisce la maggioranza degli
israeliani ormai schierata a destra». Contano anche le posizioni di
Sanders su Israele, i palestinesi e il Medio Oriente. «Sanders fino a
oggi non ha detto molto su questi temi ma non ha mancato, in varie
occasioni, di criticare lo Stato di Israele e ha difeso i diritti dei
palestinesi», sottolinea Gilboa. Perciò gli israeliani, dice l’analista,
preferiscono Hillary Clinton «esperta in politica estera e da sempre
schierata dalla parte di Israele, senza dimenticare che suo marito Bill è
stato uno dei presidenti americani più vicini al nostro Paese».
In
poche parole Bernie Sanders non mostra un particolare attaccamento allo
Stato ebraico e le sue critiche a Israele lo rendono indigesto. Non è
stato sufficiente che il senatore del Vermont, che ha avuto parte della
sua famiglia sterminata dai nazisti, sia detto qualche giorno fa
«orgoglioso di essere ebreo» durante un dibattito, e neppure che parlerà
di fronte all’Aipac, la potente lobby filo-israeliana. Il «socialista»
Sanders pensa troppo alla working class, alla Rust Belt, la «cintura
arruginita» della zona industriale del Midwest, colpita duramente dalla
crisi economica, e troppo poco a Israele e a come aiutarlo a conservare
la supremazia militare in Medio Oriente. Per questo, e non solo,
guadagna consensi tra gli americani di origine araba – in maggioranza
cristiani e non musulmani come molti credono – che però rappresentano
appena l’1% della popolazione Usa e non possono influenzare in modo
significativo gli esiti delle primarie e delle presidenziali. Tuttavia i
loro voti qualche giorno fa sono stati fondamentali per regalare a
Sanders la vittoria in Michigan.
Il sostegno a Israele è un tema
centrale delle primarie e delle presidenziali americane. I candidati
alla Casa Bianca di solito si sfidano a colpi di promesse di aiuti e di
politiche a favore dello Stato ebraico. In occasione di questo nuovo
super Tuesday, la questione di Israele e della sua posizione nel Medio
Oriente è stato motivo di scontro in casa repubblicana dove il
frontrunner Donald Trump è stato attaccato dai suoi rivali Marco Rubio e
Ted Cruz perché si è proposto come «mediatore neutrale» tra israeliani e
palestinesi. Peraltro in tre – Ohio, Illinois e Florida – dei cinque
Stati in cui si è votato per questo nuovo capitolo delle primarie Usa
sono presenti comunità ebraiche consistenti. Rubio ha puntato anche sul
voto degli americani ebrei per provare a mettere in difficoltà Trump.
«In Israele – dice Eytan Gilboa – la maggioranza della popolazione e,
con ogni probabilità, il premier Netanyahu preferirebbero vedere un
repubblicano alla Casa Bianca. Molti credono che i repubblicani, almeno
in questi ultimi anni, si siano dimostrati più vicini a Israele rispetto
ai democratici. Soprattutto se guardiamo alla presidenza di Barack
Obama». Trump non genera entusiasmo, a causa della sua
«imprevedibilità», spiega l’analista, «ma alcune delle sue posizioni
sono condivise da tanti israeliani che perciò vedrebbero con favore il
suo ingresso alla Casa Bianca al posto di Obama».