il manifesto 15.3.16
Al via i referendum «sociali» contro Renzi e il Pd
Beni
Comuni. Le prospettive della nuova stagione referendaria: costituzione,
legge elettorale, trivelle, inceneritori, acqua pubblica e diritto allo
studio. L'attesa per i quesiti della Cgil contro il Jobs Act. I
movimenti: "Manteniamo la nostra autonomia di giudizio e di iniziativa".
Il progetto di costruire un' alleanza sociale e le incognite
Roberto Ciccarelli
ROMA
Un «no» per fermare la controriforma della Costituzione, un «sì» ai
quesiti per correggere l’Italicum nel referendum previsto a ottobre. A
rafforzare la campagna referendaria in corso contro il governo Renzi, il
movimento per la scuola pubblica (Cobas, Unicobas, Flc-Cgil, Lip, Uds,
Gilda e altri), il forum italiano per l’acqua, la campagna «Stop
devastazioni» e il comitato «Blocca Inceneritori» depositeranno giovedì
17 marzo i quesiti referendari contro alcune parti della «Buona scuola»;
per l’opzione «Trivelle zero» in terraferma e oltre le 12 miglia in
mare; sull’articolo 35 del decreto «Sblocca Italia» che eleva gli
inceneritori a «interesse strategico», promuovendone la realizzazione in
diverse regioni.
È in preparazione un quesito per difendere
l’acqua pubblica dopo che i governi hanno disatteso il referendum del
2011. Sarà lanciata una petizione nazionale contro il decreto attuativo
della legge Madia sui servizi pubblici. Nel frattempo il Coordinamento
universitario Link raccoglierà le firme per una legge di iniziativa
popolare sul diritto allo studio universitario.
La campagna
partirà il 9 e il 10 aprile, quasi in coincidenza con il referendum
«anti-trivelle» previsto il 17 aprile, e si chiuderà il 9 luglio. La
mobilitazione aspira a rappresentare una risposta generale contro Renzi e
il Pd. Se la legislatura fosse sciolta anticipatamente – in caso di
sconfitta di Renzi o in caso di vittoria al referendum costituzionale di
ottobre – il paese voterà su scuola, acqua, trivelle e inceneritori nel
2018, e non nel 2017.
Si resta in attesa della Cgil che
concluderà il 19 marzo la consultazione degli iscritti sulla «Carta dei
diritti universali del lavoro» e sta valutando la presentazione di
alcuni quesiti referendari contro il Jobs Act. In questa cornice è stata
annunciata la raccolta delle firme per una legge di iniziativa popolare
per un «nuovo statuto del lavoratori». «Per quanto ci riguarda –
sostengono i promotori dei «referendum sociali» – non rinunciamo alla
possibilità di costruire un intreccio tra le nostre questioni e il tema
del lavoro, né alla nostra autonomia di giudizio e di iniziativa, una
volta conosciuti gli eventuali quesiti promossi dalla Cgil». In altre
parole: non è detto che con il sindacato si trovi un accordo sul
referendum anti-Jobs Act. La partita è aperta.
Un quadro politico
si va delineando a dispetto della macchinosità dei rapporti tra
politica, associazioni e sindacati. I movimenti cresciuti in autonomia e
su istanze specifiche hanno scelto di condividere una prospettiva
generale, unendo le forze nella raccolta delle firme e puntando su una
visione comune della democrazia e di un’economia liberata da energie
fossili e capitalismo estrattivo. Si vuole lanciare un’«alleanza sociale
dei movimenti» sui «beni comuni».
Il modello evocato dalla nuova
campagna è la stagione referendaria 2010-2011 quando i comitati
promotori furono composti dai movimenti territoriali e da soggetti
politici differenti. Da allora sembra essere passato un secolo:
Berlusconi era al governo, il Pd all’opposizione e non c’erano i Cinque
Stelle. I referendum sono l’ultima arma in una stagione dove le
alternative politiche sono timide o assenti. Resta da capire se ci sarà
un governo intenzionato a rispettare la volontà popolare.
Pombeni