Corriere 24.3.16
«Franceschini blocchi la riforma dei Beni culturali»
di Paolo Fallai
La
protesta è dura: la riforma dei Beni culturali «sta smantellando il
sistema delle tutele», e l’appello a Dario Franceschini è accorato: «Si
fermi, perché è del patrimonio italiano che stiamo parlando». Seguono
firme illustri, da Antonio Paolucci, ex ministro e direttore dei Musei
Vaticani, a Maria Vittoria Marini Clarelli che ha diretto per anni la
Galleria nazionale d’arte moderna, a Pietro Guzzo, «storico»
Soprintendente di Pompei. Sono tra i molti che hanno aderito alla due
giorni romana convocata da Assotecnici, Associazione Bianchi Bandinelli e
Comitato per la Bellezza, proprio per sentire il parere di archeologi,
storici dell’arte, architetti, docenti universitari.
Sotto accusa
la separazione tra tutela e valorizzazione, fra soprintendenze e musei
«che sta provocando un autentico caos nella gestione quotidiana dei Beni
culturali». E la legge Madia che inquadra le Soprintendenze nelle
Prefetture. «Così comanderà la politica», ha sintetizzato Antonio
Paolucci, ricordando la sua esperienza di Soprintendente fiorentino e i
rapporti del premier Matteo Renzi con quegli uffici: «La sua antipatia
nei confronti delle soprintendenze viene dagli anni in cui era sindaco.
Lui pensava di fare lo scoop mondiale trovando Leonardo sotto gli
affreschi del Vasari nel Salone dei ’500, gli esperti lo hanno fermato».
Il loro obiettivo, secondo Paolucci, è arrivare «a un’autorità unica,
più facilmente controllabile dal potere politico. L’avesse fatta
Berlusconi una proposta del genere avremmo visto le piazze invase dai
girotondo e i musei bloccati dagli scioperi».
La tutela, cioè le
Soprintendenze, diventano una sorta di «bad company» dei beni culturali
secondo Paolo Liverani, docente di Archeologia a Firenze. Le
Soprintendenze archeologiche — le prime a sorgere in Italia — vengono
unificate a quelle storico-artistiche e a quelle paesaggistiche.
Taranto, capitale della Magna Grecia, perde una Soprintendenza esistente
dal 1907 e gli archeologi vengono «affogati» in Soprintendenze
unificate a Brindisi, a Lecce, a Foggia. Maria Vittoria Marini Clarelli
si è chiesta: «Dove finiscono e a chi le loro biblioteche, i loro
archivi, i loro laboratori?». Come potrà sopravvivere Roma, smembrata, e
che faticosamente aveva trovato un equilibrio grazie ai ricavi dei
biglietti del Colosseo?
Uno spazio non secondario nella
discussione l’ha avuto il tema paesaggistico: «Nel triennio 2010-2012,
in piena crisi edilizia, sono stati ricoperti altri 72 mila ettari,
un’area pari alla somma dei Comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e
Palermo». E nelle città solo a Napoli è stato cementificato il 62,1 per
cento del territorio comunale. «Se entreranno in vigore tutti i decreti
attuativi della legge Madia saremo alla devastazione dello Stato» ha
detto l’urbanista Paolo Berdini.
Se lo spirito dei provvedimenti
contestati è «valorizzare, cioè cavare soldi, dai beni culturali, a
cominciare dai musei», la cultura in Italia — ha ricordato Vittorio
Emiliani — resta la Cenerentola. Gli stanziamenti ci collocano al 23°
posto in Europa, dopo Cipro e Malta e prima della Romania. L’obiettivo
dell’assise romana è proseguire la pressione sul ministero «creando una
rete in grado di mostrare che alcune posizioni della riforma sono
ideologiche». Prossimo appuntamento il 7 maggio, con un corteo a Roma,
dalla Bocca della Verità all’Arco di Costantino. «È emergenza cultura,
Franceschini ci ascolti».