mercoledì 16 marzo 2016

Corriere 16.3.16
Umani perché diversi, oltre i confini tra scienza e umanesimo
di Antonio Carioti

La diversità è vita, in ogni aspetto. Se ne nutrono il sapere, l’economia e la politica, ma anche i meccanismi biologici degli ecosistemi. Eppure spesso suscita diffidenza, se non paura: un’ambiguità emersa nell’incontro «Diversità. Biologica, culturale, sociale», organizzato ieri, presso la Sala Buzzati, dalla Fondazione Corriere della Sera assieme ad altre istituzioni milanesi, tra cui la Comunità ebraica, gli Amici di Brera e l’Università degli studi, con il sostegno di Albertini Syz.
La diversità, ha notato il presidente della Fondazione Corriere Piergaetano Marchetti, è spesso trattata a spicchi, mentre l’intento della serata, introdotta da Claude Shammah, era proporre un approccio complessivo, oltre gli steccati tra scienza e umanesimo. Perciò in sala c’erano esemplari di antiche piante, emblemi della biodiversità, e un momento qualificante del programma sono stati i tre preludi eseguiti con la chitarra, in nome della diversità musicale, dal maestro Francesco Biraghi.
Nulla di scontato, quindi, negli interventi dei relatori. Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, ha sottolineato la necessità di un dialogo interreligioso che non appiattisca e impoverisca le differenze fra le fedi: lo scopo non è convenire su elenchi di banalità, ma far emergere una sana pluralità dei punti di vista e delle interpretazioni.
Un forte allarme, su un altro terreno, è venuto dall’agronomo Stefano Bocchi, che ha messo in guardia contro la tendenza dominante a ridurre la varietà delle colture, che invece costituisce una ricchezza naturale e anche un elemento di salvaguardia da rischi di notevole entità per l’ecosistema e per la salute umana.
Ciò non significa affatto che la difesa della diversità sia una battaglia antimoderna: è proprio con l’Illuminismo che nascono sedi capaci di declinare un confronto aperto tra diverse forme di conoscenza, ha ricordato Aldo Bassetti, presidente degli Amici di Brera, che è una tipica istituzione di quel genere.
Purtroppo c’è chi rifiuta l’idea stessa della contaminazione, di cui Philippe Daverio, in un’intervista filmata con Claude Shammah proiettata in sala, ha tessuto le lodi in ogni campo, da quello politico a quello gastronomico. Un esempio agghiacciante viene dalla distruzione dei tesori di Palmira, in Siria, su cui si è soffermata l’archeologa Maria Teresa Grassi, personalmente impegnata sulla questione. L’odio dei jihadisti sembra rivolto proprio contro i simboli di una convivenza millenaria tra culture diverse, al crocevia tra Oriente e Occidente, di cui l'arte è espressione primaria.
Infine c’è l’uso strumentale e violento della diversità, denunciato da Gabriele Nissim, presidente della Foresta dei Giusti: è una forma di vittimismo aggressivo, che rivendica l’esigenza di preservare a ogni costo la propria identità annientando coloro che sono percepiti come una minaccia omologante. Per questo la diversità va sempre combinata con l’integrazione, ha avvertito l’architetto Michele De Lucchi, che ha richiamato in positivo le opportunità di scelta oggi offerte a tutti noi dalla produzione industriale.