mercoledì 16 marzo 2016

Corriere 16.3.16
Europa-Turchia un accordo necessario con alcuni punti fermi
di Ricardo Franco Levi

Turchia sì o Turchia no? Questo è il dilemma da quando, sorprendendo tutti, la cancelliera Merkel ha posto davanti agli altri capi di Stato e di governo europei un piano da lei elaborato con il primo ministro turco Davutoglu per cercare di risolvere il sempre più drammatico problema dei migranti che rischia di travolgere l’Europa disunita.
Se Maometto non va alla montagna — si è detta la cancelliera — che sia la montagna a venire da Maometto. Se la soluzione non può venire dagli Stati europei, andiamo a cercarla in Turchia. Se gli europei non sono in grado e non vogliono accogliere i migranti che sono entrati e continuano a entrare nelle loro terre ma non sono, al medesimo tempo nelle condizioni di respingerli o di rimandarli da qualche altra parte perché nessuno è disposto ad accoglierli, allora che sia la Turchia a farlo.
In cambio di che cosa? Di quattro cose, quattro grosse cose. Soldi: tre miliardi di euro oltre ai tre già promessi. La possibilità per i cittadini turchi di entrare in Europa senza più la necessità di un visto. L’impegno dell’Europa di accogliere un siriano rifugiato in Turchia per ogni migrante prelevato in territorio europeo, prevalentemente in Grecia, e spedito in Turchia. L’accelerazione del processo di adesione della Turchia all’Unione Europea.
Vasto programma. A esso si frappongono ostacoli non da poco. Tralasciamo pure la questione dei soldi. Ma la prospettiva di 75 milioni di turchi liberi di entrare e poi circolare in Europa preoccupa e spaventa molti, soprattutto in Francia. Mentre solleva forti dubbi di legittimità il progetto di «deportare» verso la Turchia uomini, donne e bambini senza distinguere tra coloro che sono venuti «soltanto» alla ricerca di migliori condizioni di vita e coloro, invece, che la vita correvano davvero il pericolo di perderla e, pertanto, chiedono asilo. Infine, appare scarsamente credibile l’impegno europeo ad accogliere i siriani rifugiati in Turchia, facendo rientrare dalla finestra una disponibilità sinora buttata fuori dalla porta.
Se a tutto questo si aggiunge il veto di Cipro a ogni progresso nel negoziato per l’ingresso della Turchia nell’Unione sino a quando non sarà risolta la decennale guerra diplomatica che divide l’isola contrapponendo la parte greca alla parte turca, ce n’è abbastanza per prevedere poca vita al progetto della cancelliera Merkel.
Eppure, in mancanza di meglio, cioè di una ritrovata unità degli europei e di un loro improvviso soprassalto di collettiva solidarietà, si tratta di una prospettiva da non scartare. Anzi, da considerare quasi necessaria e, quindi, sopportabile. Perché i soldi si possono trovare. Perché la rinuncia alla condizione dei visti, di per sé uno strumento un poco antiquato, non equivale alla rinuncia al controllo dei passaporti e, dunque, a un filtro di sicurezza, al primo ingresso all’interno di un paese dell’Unione Europea. Perché, per umanamente odiosa che di per sé sia ogni deportazione, dovrebbe essere possibile evitarla a coloro che hanno legittimamente diritto all’asilo e, dunque, a una speciale protezione. Perché a fronte di un’azione da parte di Ankara che valga a togliere pressione alla pentola ormai pronta a scoppiare tra la Grecia e i Balcani, qualche impegno sarà pur doveroso imporlo ai più tranquilli europei del centro-nord. Perché, infine, non mancano le soluzioni di compromesso che possano rendere presentabile e, quindi, accettabile un’intesa su Cipro.
Ciò che, invece, deve essere respinta è l’idea di calpestare procedure e regole nel processo di adesione della Turchia all’Unione Europea.
Perché sui principi (di legalità, di democrazia, di difesa della libertà di espressione...) sui quali è fondata l’Europa non si deve transigere. E perché resta più che mai valida la considerazione che la Turchia, ormai grande potenza regionale con propri obiettivi geopolitici ed economici, non può più diventare ed essere «ridotta» a «semplice» membro dell’Unione.
Spingere ancora più avanti la Turchia sulla strada dell’ingresso nella Ue, per di più abbattendo porte per agevolarne il passaggio, sarebbe due volte un errore. Ma l’accordo con Ankara sui rifugiati resta, purtroppo e ciononostante, indispensabile.