mercoledì 9 marzo 2016

ARTICOLI DEL 9 MARZO 2013
DA SOLE FATTO E MANIFESTO

Il Sole 9.3.16
Migranti. Dubbi sui trasferimenti tra Ankara e gli altri Paesi
L’Onu contro l’intesa Ue-Turchia: «Viola i diritti umani»
di Beda Romano

L’intesa preliminare sui migranti tra Ue e Turchia potrebbe mettere a rischio il rispetto dei diritti umani. Lo ha detto l’alto commissario Onu per i rifugiati, Grandi. Si negozia per superare gli aspetti più controversi dell’accordo.
È un’intesa preliminare quella che la Turchia e i Ventotto hanno raggiunto nella notte di lunedì dopo 12 ore di negoziato. L’obiettivo è di arginare l’arrivo in Europa di migranti provenienti dal Vicino Oriente, togliendo ogni incentivo all’attraversamento del Mediterraneo. La bozza di accordo, fortemente voluta dalla Germania, contiene elementi controversi. I prossimi dieci giorni, in vista del vertice europeo di metà marzo, saranno dedicati a un negoziato delicato.
L’intesa prevede prima di tutto il rinvio dalla Grecia alla Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari arrivati in Europa. Nel contempo, per ogni siriano giunto in Turchia dalla Grecia, dovrebbe esserci un siriano attualmente in Turchia che venga reinsediato in Europa «nel quadro degli impegni esistenti». L’obiettivo, si legge in un comunicato pubblicato nella notte, è «di smantellare il modello economico» dei trafficanti, e «di spezzare il legame tra la traversata per mare e l’installazione in Europa».
In cambio di questo aiuto turco, i Ventotto sono pronti a concedere ad Ankara alcuni nuovi benefici. Nel comunicato, i paesi membri si dicono pronti ad aumentare gli aiuti finanziari alla Turchia, oltre i 3,0 miliardi di euro già previsti. Inoltre, i Ventotto sono d’accordo di garantire ai turchi il viaggio senza visto in Europa già in giugno, e non solo in ottobre come previsto dal precedente piano di azione con Ankara, raggiunto faticosamente alla fine di novembre.
Sempre a favore della Turchia è la possibilità di aprire rapidamente nuovi capitoli negoziali per un eventuale futuro ingresso del paese nell’Unione. Più in generale, i Ventotto ribadiscono nel comunicato l’impegno a bloccare la rotta balcanica verso Nord, chiudendo le frontiere ai migranti irregolari; e sottolineano la necessità di aiutare la Grecia, che rischia di diventare un enorme campo-profughi in un momento in cui il trasito verso Nord è sempre più difficile (si veda Il Sole 24 Ore del 3 marzo).
Le misure contengono un aspetto innovativo: lo scambio relativo ai rifugiati siriani. L’obiettivo è di dissuadere il cittadino siriano dall’attraversare il Mediterraneo, promettendogli che gli sarà più facile raggiungere l’Europa attraverso una operazione di reinsediamento. Secondo una ricostruzione del vertice di ieri, le nuove proposte turche sono state preparate in stretta collaborazione con la Germania. Proprio questo aspetto ha indispettito molti partner, e messo in ombra il tradizionale motore franco-tedesco.
La cancelliera Angela Merkel deve assolutamente rassicurare la sua opinione pubblica a ridosso di elezioni regionali particolarmente incerte domenica prossima. L’arrivo in Germania di un milione di persone nel 2015 ha creato non poche tensioni sociali nel paese. Lo scambio di siriani tra la Turchia e l’Unione, spiegava nella notte un esponente comunitario, è «un cambio di paradigma». Ha poi aggiunto: «Se funziona, potremo ridurre alla radice il numero di profughi che arrivano in Europa».
Come detto, l’intesa è preliminare. Vi sono nodi politici, morali, economici ancora tutti da risolvere. Alcuni governi sono freddi all’idea di dare altri soldi ad Ankara. Alla Francia non piace concedere ai turchi libertà di viaggio in Europa. Cipro guarda con preoccupazione all’apertura di nuovi capitoli negoziali. Tra le altre cose, alcuni esperti si chiedono inoltre se sia legittimo trasferire dalla Grecia alla Turchia persone che hanno bisogno di protezione internazionale.
François Gemenne, professore all’Università di Liegi, nota il dubbio morale che sottintende alla scelta di un paese di rifiutare la protezione a una persona che ne ha visibilmente diritto. Il timore di molti diplomatici e organizzazioni umanitarie è che una decisione dell’Unione in tal senso possa comportare ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Lo stesso Alto commissario per i rifugiati dell’Onu (Unhcr) Filippo Grandi ha espresso preoccupazione per «un qualsiasi accordo che possa prevedere un respingimento indiscriminato da un paese all’altro e senza le garanzie per la protezione dei rifugiati stabilite dal diritto internazionale». Altri giuristi si chiedono se l’eventuale intesa non rinneghi anch’essa il Principio di Dublino, per il quale c’è l’obbligo del paese europeo a valutare la domanda di asilo.
Da mesi ormai i paesi membri sono alle prese con un meccanismo di ricollocamento dei profughi arrivati in Europa e di reinsediamento di quelli ancora in paesi terzi che stenta a decollare. Nel comunicato di lunedì notte, si precisa che l’eventuale intesa con la Turchia, i cui dettagli andranno negoziati entro il prossimo vertice europeo del 17-18 marzo, non comporta nuovi impegni su questo fronte. L’obiettivo è anche di rassicurare i paesi dell’Est che ancora non sono convinti di volervi partecipare.

il manifesto 9.3.16
Ue-Turchia, arriva l’altolà dell’Onu
La bozza d'accordo «non tiene conto delle salvaguardie della legge internazionale di protezione dei rifugiati»
L'Unhcr esprime «profonda preoccupazione» e forti criticità giuridiche
Malumori sul testo Merkel-Davotoglu. La risposta di Bruxelles dal vertice del 17-18 marzo
di Anna Maria Merlo


PARIGI L’Alto commissario per i rifugiati dell’Onu, Filippo Grandi, si è detto «profondamente preoccupato» dalla bozza di accordo che, all’una di notte, è uscita dopo più di 11 ore di vertice europeo a 29, i 28 più la Turchia. Si tratta di un’intesa che «non tiene conto delle salvaguadie della legge internazionale di protezione dei rifugiati», secondo Grandi.
Per Amnesty International è semplicemente «assurdo» considerare la Turchia «paese sicuro» a cui rimandare i rifugiati dalle sponde europee (basti pensare a un profugo curdo: quali garanzie ha la Ue?). Il direttore regionale per l’Europa dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, Vincent Cochetel, ricorda che le «espulsioni collettive sono proibite dalle Convenzioni Ue».
Dopo le prime, imprudenti, affermazioni del presidente dell’Europarlamento, Martin Schultz, nella notte di lunedì, secondo il quale «qualunque misura che contrasti l’attività dei trafficanti deve essere esaminata», ieri anche il parlamento europeo ha espresso «preoccupazione». I 28 hanno preso tempo fino al prossimo Consiglio del 17-18 marzo per dare una risposta definitiva alle proposte turche, in base alle quali è stata redatta la bozza di accordo al vertice di Bruxelles di lunedì. Il testo, che ha preso di sorpresa molti leader europei, era stato definito nella notte di domenica, in un lungo incontro tra Angela Merkel e Ahmet Davotuglu, alla presenza di Jean-Claude Juncker e Mark Rutte, primo ministro olandese, che ha la presidenza semestrale Ue.
Ma la Ue e i suoi leader (Merkel in testa, che teme le elezioni di domenica in tre Länder) hanno fretta di trovare una soluzione qualunque alla crisi dei rifugiati, quindi non arretrano di fronte al peggiore cinismo. Così, il presidente della Commissione Juncker ha affermato che la bozza di accordo è giuridicamente corretta, anche se riguarda non solo i migranti economici ma anche i rifugiati, in particolare i siriani.
I diplomatici che a Bruxelles avevano preparato un testo di accordo, sono molto più prudenti: giuridicamente, l’accordo non rispetta la lettera dei trattati internazionali, come la convenzione del 1951, che proibisce le espulsioni di massa e garantisce l’asilo esaminato caso per caso. Grandi ricorda che i rifugiati possono solo venire rinviati in paesi che garantiscono che, a loro volta, non li rispediranno verso i paesi da dove sono fuggiti. Ma la bozza di accordo dice esattamente il contrario: la Turchia dovrà negoziare con i paesi di origine dei migranti economici, per poi rimpatriarli. Per i siriani, invece, ci sarà una lista per chiedere l’asilo in Europa. Inoltre, la bozza contraddice quello che Juncker aveva ripetuto fino alla vigilia: con le espulsioni preventive collettive e sistematiche, l’analisi individuale delle richieste d’asilo sarà rimandata alla seconda fase del processo (Bruxelles ha condannato l’Austria per aver deciso unilateralmente un numero massimo di entrate giornaliere).
Paradossalmente, la Commissione e i leader europei non sembrano rendersi conto che la proposta «uno a uno» – per ogni profugo riammesso dalla Turchia l’Europa si impegnerebbe ad accogliere per vie legali un altro rifugiato in un campo in Turchia – potrebbe finire per aggravare la crisi e favorire le manovre turche per aumentare il numero dei migranti illegali sulle coste greche: difatti, più ne arrivano, più ne saranno rispediti in Europa. Anche i profughi potrebbero essere tentati dallo stesso ragionamento.
Chi penserà alle espulsioni? Il “lavoro” verrebbe affidato a Frontex, in collaborazione con i turchi.
Molti leader europei sono estremamente imbarazzati dal tono della bozza di accordo. Timidamente, alcuni – Hollande, Renzi – hanno accennato al problema della libertà di stampa e al caso Zaman, confermato dai nuovi mandati d’arresto di ieri. In Gran Bretagna il ministero degli Esteri ha espresso perplessità (ma Londra se ne lava le mani, con un piede già fuori dalla Ue). Poi, tutti hanno accettato la logica di fondo, di subappaltare i profughi alla gestione della Turchia.
A Bruxelles si sono invece fatte sentire con più forza delle riserve sui costi dell’operazione. I turchi chiedono il raddoppio del finanziamento Ue (6 miliardi entro il 2018, le prime centinaia di milioni dovrebbero venire versate a breve) e i 28 dovranno anche pagare i costi delle espulsioni. Forti riserve esistono anche sulle due altre richieste di Ankara: liberalizzazione dei visti Schengen per i cittadini turchi da giugno, senza aspettare il “rapporto” della Commissione e accelerazione del negoziato per l’adesione alla Ue (con l’apertura di 5 nuovi capitoli di trattative).

Il Sole 9.3.16
Schengen addio? Est Europa la più colpita
I costi delle frontiere chiuse. Assieme al Benelux è una della macroaree maggiormente a rischio poiché ben integrata con la catena del valore della manifattura europea
di Beda Romano

Bruxelles Appena sei anni fa, il deputato vallone Pierre Tachenion dava battaglia perché fosse smantellato il posto di frontiera franco-belga di Hensies. Voleva, e ha ottenuto, che in quel punto l’autostrada Bruxelles-Parigi fosse a quattro corsie. Non era così d’altro canto che bisognava interpretare l’Europa della libera circolazione, senza controllo dei passaporti? Oggi, nello stesso passaggio, l’autostrada è segnata da una chicane, la velocità è rallentata, il parcheggio sopravvissuto allo smantellamento del posto di frontiera è pieno di camion che fanno dogana, poliziotti nei due paesi sono riapparsi come funghi.
Otto Paesi hanno chiuso
A 31 anni dalla sua firma, il Trattato di Schengen rischia di finire in archivio. Preoccupati dalla carenza di controlli alle frontiere esterne dell’Unione, segnati dall’arrivo in massa di rifugiati o dal pericolo di attentati terroristici, otto paesi hanno già deciso di reintrodurre il controllo alle frontiere. Non solo Francia e Belgio, ma anche Austria, Ungheria, Germania, Norvegia, Danimarca e Svezia. La reintroduzione è temporanea, ma rischia di diventare permanente, con conseguenze drammatiche per l’economia, in particolare per i paesi dell’Est, gli stessi che ostacolando il ricollocamento dei rifugiati in tutta l’Unione hanno provocato la chiusura dei confini.
Isabelle de Maegt rappresenta a Bruxelles gli interessi dell’associazione degli autotrasportatori belghi, nota con l’acronimo Febreta: «Abbiamo fatto – spiega – dei calcoli precisi sull'impatto della reintroduzione dei controlli di frontiera tra il Belgio e la Francia. Stimiamo la perdita di tempo a 30 minuti per ogni passaggio di confine. Poiché gran parte degli autisti attraversano due confini al giorno, la perdita secca è di 60 minuti. Ogni ora di lavoro costa 60 euro. Calcoliamo che ogni giorno 3mila camion belgi viaggiano all'estero. I maggiori costi al giorno per la nostra categoria ammontano quindi a 180mila euro”.
In febbraio, il Consiglio europeo ha dato tre mesi di tempo alla Grecia per migliorare il controllo delle frontiere esterne, e arginare l'arrivo di rifugiati nell'Unione, che tanto preoccupa le opinioni pubbliche di alcuni paesi. Nel caso contrario, l'Unione è pronta a permettere la rentroduzione dei controlli alle frontiere interne dello Spazio Schengen per un periodo di due anni. Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri e dell'Immigrazione lussemburghese Jean Asselborn ha avvertito che “una volta sospesa, Schengen non verrà mai resuscitata”. L'ex ministro degli Esteri svedese Carl Bildt ha aggiunto che la situazione è “tragica”.
Catena del valore a rischio
Lo stesso calcolo dell'associazione imprenditoriale belga è stato fatto da decine di organismi e imprese in giro per l'Europa. D'altro canto il 75% del commercio intraeuropeo avviene per strada. La Bertelsmann Stiftung stima che la fine della libera circolazione nell'Unione comporterebbe perdite per 470 miliardi di euro (1.400 miliardi nello scenario peggiore). Tra il 2016 e il 2025, le perdite nella sola Germania sarebbero pari a 77 miliardi; in Italia ammonterebbero a 49 miliardi. “Se le barriere doganali dovessero tornare su in Europa, ciò peserebbe ancor di più su una crescita già debole”, ha spiegato Aart De Geus, il presidente della Bertelsmann Stiftung.
Est Europa vulnerabile
Economisti del settore privato notano che la fine della libera circolazione peserebbe non solo sul commercio, ma anche sui flussi dei lavoratori transfrontalieri, sul turismo, e sui bilanci pubblici, che verrebbero chiamati a spendere di più per controllare i confini. Il Belgio è un crocevia dell’Europa. Addirittura, i punti di passaggio con la Francia sarebbero più di 1.500 (quanto controllabili nei fatti, soprattutto quelli sulle strade secondarie e i sentieri di campagna?). Il piccolo regno sarebbe tra i paesi più colpiti da una sospensione duratura dello Spazio Schengen. Ma certo non l’unico.
Ancor più penalizzati sarebbero i paesi dell’Est, gli stessi che oggi bloccando il ricollocamento dei rifugiati arrivati in Grecia e in Italia hanno provocato la chiusura dei confini in alcuni paesi. La Slovacchia di Robert Fico è il fornitore di parti meccaniche dell’industria dell’auto. La Repubblica Ceca di Milos Zeman è tra i principali esportatori europei di prodotti agricoli. L’Ungheria di Viktor Orbán è il paese europeo dove è maggiore l’apertura internazionale dell’economia. «La fine dello Spazio Schengen metterebbe seriamente a rischio la catena di valore», ha avvertito in un recente discorso qui a Bruxelles Emma Marcegaglia, presidente di Business Europe.
Al di là dell’impatto economico, gli economisti di Morgan Stanley sostengono con efficacia che la sospensione della libera circolazione avrebbe un impatto sul sostegno popolare per una maggiore integrazione europea. Il ritorno del controllo ai confini – avvertono - «potrebbe portare a sviluppi politici disordinati».
Al posto di frontiera franco-belga di Hensies fa bella mostra di sé una grande statua dello scultore belga Jacques Moeschal. Costuita nel 1972, è fatta da due pilastri gemelli legati alla loro sommità. Deve simboleggiare una stretta di mano e l’amicizia tra i due paesi. In questi giorni il timore è che diventi anacronistica.

Il Sole 9.3.16
Primarie a Napoli, Bassolino fa ricorso
Nuovo caso: cosentiniani ai seggi
Bufera nel Pd a Napoli: Bassolino, sconfitto di misura da Valente alle primarie, ha presentato ricorso dopo che un video ha testimoniato soldi (da 1 a 10 euro) e indicazioni ai cittadini perché votassero Valente
Orfini e Guerini: no all’annullamento
di Manuela Perrone


ROMA La bufera scoppia ancora una volta a Napoli, come nel 2011, ed è tutta interna al Pd: Antonio Bassolino, il candidato sconfitto di misura da Valeria Valente alle primarie di domenica scorsa, ha presentato ricorso sulle consultazioni, dopo che un video pubblicato sul sito Fanpage.it ha testimoniato soldi (da 1 a 10 euro) e indicazioni ai cittadini perché votassero Valente. Nei filmati anche esponenti di centrodestra a presidio di alcuni seggi.
«Questo mercimonio è una ferita profonda», ha reagito Bassolino dicendosi disgustato. «Rispettare la libertà e la dignità delle persone è un requisito irrinunciabile della democrazia».
Oggi la commissione di garanzia per le primarie esaminerà il ricorso. La procura di Napoli ha aperto un’indagine conoscitiva. Ma il terremoto è tutto politico. Il Pd tenta di non gettare il bambino con l’acqua sporca. «Se qualcuno si è comportato in modo inopportuno verranno presi provvedimenti durissimi verso quella singola persona», ha affermato il presidente del partito Matteo Orfini. Ma la consultazione «non va annullata». «È inaccettabile mettere in discussione le primarie e i chiari risultati che hanno sancito», ha chiarito il vicesegretario dem Lorenzo Guerini. Vale per le «speculazioni» sulla vicenda napoletana come per Roma, dove il post primarie ha fatto deflagrare le tensioni con la minoranza.
La giornata di ieri è servita almeno a fissare alcuni punti. Tutte le anime della sinistra del partito, da Roberto Speranza a Gianni Cuperlo, hanno sgombrato il campo dall’ipotesi di non appoggiare Roberto Giachetti nella corsa a sindaco della Capitale. «Chi ha vinto le primarie va sostenuto da tutti», ha detto Speranza. Che però ha insistito: il calo dell’affluenza a Roma (da 100mila a 47mila votanti) è «un campanello d’allarme» che va affrontato «con un po’ di umiltà in più e di arroganza in meno». Riferimento esplicito a Orfini, che tiene il punto e avvisa la minoranza: «Vogliamo vincere. Se volete dare una mano ne siamo lieti. Se volete continuare a giocare al congresso fate pure».
Bocciata dunque («è da pazzi») la proposta di anticipare il congresso del Pd previsto per il 2017, avanzata da Speranza anche per risolvere quello che a suo avviso è il neo del doppio incarico di Matteo Renzi (premier e segretario) , Orfini ha invece deciso «in accordo con Renzi» di convocare la direzione nazionale il 21 marzo. La «sede opportuna se c’è da fare una discussione» e chiudere il caso. Che irrita i renziani. Per i toni e il momento.
Alla direzione si arriverà dopo la tre giorni organizzata a Perugia da Speranza. Ma si muove anche la corrente SinistraDem di Cuperlo: oggi il deputato presenta una lettera-appello per «federare una nuova sinistra», rivolta dentro e fuori il Pd. E lancia un appuntamento a Milano per il 6 e 7 maggio.
L’inquietudine a sinistra si riflette nel lavoro sulle liste alternative a Roma. Preoccupa i dem il nome dell’ex ministro Massimo Bray, dalemiano di ferro, come possibile candidato civico sostenuto da Sel, dall’ex sindaco Ignazio Marino e dal mondo associativo. Lo provano i messaggi netti del capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato («Escludo la candidatura di Bray, persona leale») e del renzianissimo senatore Andrea Marcucci («Non si presti a un’operazione che avrebbe l’unico scopo di azzoppare il partito che lo ha eletto»).
Intanto l’opposizione si scatena. Dal leader del M5S Beppe Grillo (#Denunciamoil Pd, è l’hashtag sul caso Napoli) , passando per Forza Italia, fino al segretario della Lega Matteo Salvini: «Che tristezza, che ingiustizia, che vergogna: solo 1 euro per votare uno del Pd, e addirittura 35 per mantenere un clandestino».

Il Sole 9.3.16
Trasparenza fa rima con affluenza
Fa bene Bassolino ad annunciare ricorso contro le primarie Pd a Napoli ma tutti i partiti hanno un gigantesco problema di trasparenza
I clic dei 5 Stelle non verificabili, i gazebo improvvisati della Lega e quelli di Berlusconi per Bertolaso: ognuno fa come gli va e l’affluenza scarseggia.
di Lina Palmerini


Un “mercimonio”, diceva Antonio Bassolino parlando delle immagini girate in alcuni gazebo di Napoli dove venivano dati soldi ai partecipanti delle primarie. In serata poi un altro video testimonierebbe “infiltrazioni” di esponenti vicini al centro-destra di Cosentino che distribuirebbero l’euro per la sottoscrizione. Insomma, il ricorso ci sta tutto - come ci sta l’inchiesta della magistratura - perché quando si interpellano i cittadini su scelte pubbliche o tutto è legale o non è valido. Il tema che pongono queste primarie – però – non sono solo i brogli su cui naturalmente è la giustizia che deve fare il suo corso ma è anche la trasparenza. Anche quella, spesso, manca. Ed è il requisito minimo, l’ingrediente base per coinvolgere persone disinteressate, quelle che non fanno parte degli apparati e dell’indotto, che non hanno convenienza a votare e che sono proprio quelle che hanno disertato i gazebo di Roma.
Si è parlato dell’affluenza che è scesa nel Pd ma guardando intorno anche gli altri tentativi messi in piedi dagli altri partiti non sono un successo di pubblico. I clic via web di Grillo o i banchetti improvvisati di Salvini a Roma sono tutti numeri piccoli. Movimenti di giri ristretti più che coinvolgimento di popolo. Spesso si tratta di messinscene per combattere una battaglia politica – come il caso della Lega contro il Cavaliere – o di dare un’investitura popolare a chi spunta dal nulla di un blog. Insomma, poche regole, poca trasparenza, troppe cose fatte in casa su misura per le rispettive convenienze dei leader. È scontato che la gente si disaffezioni, come si usa dire in questi giorni.
Ora però c’è un’occasione per le forze politiche di cercare una piattaforma minima comune di norme di trasparenza da dare ai cittadini e ai propri elettori. Alla commissione Affari Costituzionali della Camera si stanno discutendo varie proposte di legge sull’articolo 49 della Costituzione, per dare una forma e regole ai partiti. Naturalmente si è ancora in alto mare e le divisioni sono sostanziali. Si va da chi, come il vicesegretario Pd Guerini, propone norme stringenti pena essere esclusi dalle elezioni e chi non vorrebbe alcuna legge come i grillini. Nella lista delle audizioni è stato inserito anche Casaleggio, il guru dei 5 Stelle “investito” in questi giorni anche da un’inchiesta di Salvatore Merlo sul Foglio per spionaggio informatico e violazione della privacy dei parlamentari. Non è chiaro se andrà o meno all’audizione, certo sarebbe interessante capire il suo punto di vista dal momento che è un esperto di rapporti tra web e politica e fiero difensore della legalità e trasparenza. Spiegherebbe bene anche perché i 5 Stelle ritengono che le proposte in campo siano fatte contro di loro e perché non vogliono si legiferi. Al momento non tutti lo capiscono.
Eppure oggi sembra più che opportuno che i partiti diano agli associati e ai cittadini strumenti minimi di controllo e verifica sul funzionamento della democrazia interna, metodi di selezione delle candidature e sulla provenienza di fondi privati. Magari includendo anche le primarie che oggi ciascuno si fa a modo suo.
Si sa che il dibattito sulla legge per i partiti è apertissimo da anni e anni. E pure quella per i sindacati. Ma i tempi sono più che maturi per riconsiderare la possibilità di scrivere anche poche regole ma chiare e uguali per tutti. Naturalmente non è un rimedio contro i brogli e le illegalità ma si mette nelle mani dei cittadini qualcosa che illumini la vita delle forze politiche, le procedure, le modalità di partecipazione. E si vedrà se trasparenza può fare rima con affluenza.

Il Sole 9.3.16
La procura indaga e ora l’ex sindaco cerca la rivincita
La compravendita dei voti. Tra i questuanti anche Antonio Borriello, consigliere comunale storico dei dem e amico fraterno di Bassolino
di Mariano Maugeri

Dev’essere colpa della crisi: nel 2011, quando a vincere le primarie drogate fu Andrea Cozzolino, delfino di Antonio Bassolino, un voto si comprava a cinque euro. Domenica scorsa, ai seggi di Scampia e San Giovanni, con in campo Valeria Valente (“Napoli Vale” lo slogan della sua campagna elettorale), un voto si acquistava a un euro tondo tondo. Il dumping nella compravendita dei voti segnala come minimo una svalutazione intrinseca di tutto quello che ruota attorno alla politica. E ieri è saltato fuori un video che immortala pure esponenti della destra a presidio dei gazebo dem. Tra i questuanti che si sono immolati per la causa sotto il vento sferzante c’è Antonio Borriello, consigliere comunale storico del Pd con collegio elettorale a San Giovanni a Teduccio e amico fraterno di Totonno Bassolino. A lui toccò il privilegio di unire in matrimonio il sindaco più amato dai napoletani e la di lì a poco deputata del Pd Anna Maria Carloni. Unico dettaglio sgradevole: stavolta Borriello seminava monete da un euro nelle mani dei mercenari indottrinati per sostenere la Valente. Uno dei tanti tradimenti di queste settimane, ancora più lacerante se consideriamo il tasso di endogamia del Pd napoletano. Tutti, a partire dalla Valente, vantano pedigree da deputati a consiglieri regionali in giù. A dividersi per le primarie è stata anche la coppia Andrea Cozzolino e Anna Normale. Lui con la Valente (altro parricidio), la moglie, figlia di un ricco costruttore, con Bassolino. Uniti come un sol uomo sono rimasti la vincitrice delle primarie, ex assessore al Turismo e ai Tempi della città (una delega che a Napoli suona come una burla) con Iervolino sindaco e suo marito Gennaro Mola, che Rosetta volle a Palazzo San Giacomo accanto alla moglie. A lui toccò il ruolo infame - erano gli anni in cui pioveva monnezza - di assessore alla Nettezza urbana. La Valente, a parte gli incarichi di partito che esibiva nel suo curriculum vitae, fu messa in ombra dagli sfrantummati (smidollati, ndr), i suoi colleghi assessori che dilagavano sulle pagine dei giornali. Memorabile la battuta di Mola a Report nel pieno dell’emergenza rifiuti. Al cospetto di 360 netturbini a braccia conserte, l’assessore farfugliò: «Di questi si occupa un dirigente comunale che tra l’altro lo fa in una situazione sui generis». Inevitabile il flash back agli anni bui di Napoli: le storie politiche e le gesta (si fa per dire) di cui si narra in questi giorni sono indissolubilmente legati a quella stagione. Ora la Valente si dispera e dice di non sporcare le primarie con “l’infamia” dei voti comprati e venduti. Una scena madre che non impietosirà Bassolino. Né tantomeno il suo coach, il politologo napoletano Mauro Calise, il teorico del quadrante che porta il suo nome. Ci sono quattro caselle: scambio, appartenenza, opinione e voto al leader. Solo chi le riempie tutte e quattro al 51% vince una competizione elettorale, qualunque essa sia. Nel ’93 Bassolino diventò primo cittadino con una valanga di voti al leader. Negli anni seguenti, come una clessidra, i consensi scivolarono verso le caselle scambio e appartenenza. Ora la cattiva sorte che affligge la Valente offre all’ex governatore la chance non solo di rivincere le primarie, ma di rosicchiare punti preziosi ai pretendenti in corsa per Palazzo San Giacomo. Di colpo la casella voto al leader potrebbe ingrossarsi come all’alba della sua carriera politica. E non serviranno le parole di rito (“ci vogliono delegittimare” ha detto la segretaria regionale del Pd Assunta Tartaglione) a fermare l’inchiesta aperta dalla Procura e il ricorso di un Bassolino vittima tre volte: del suo partito, dei brogli e delle brucianti sconfitte politiche che porta sulle spalle curve da maratoneta. Neppure il più brillante degli spin-doctor avrebbe potuto tratteggiare un’immagine così carica di simboli. «È un mercimonio, sono disgustato» ha sibilato l’ex sindaco ai suoi sostenitori. Sembra il remake del 2011, quando il suicidio dei brogli spianò la strada a De Magistris. Un capovolgimento insospettabile fino a ventiquattr’ore fa. Con un esito sul quale nessuno avrebbe scommesso uno solo dei tanti euro spartiti davanti i seggi delle primarie: per la prima volta da quando si candidò a sindaco con un post su Facebook, il vecchio Bassolino ha l’opportunità di giocarsi il ballottaggio.

Il Fatto 9.3.16
FI e Verdini portano voti al Pd
La Procura indaga le primarie
Le primarie finiscono dai pm e Bassolino corre ancora
Nuovi video di Fanpage.it: cosentiniani ai seggi. L’ex governatore fa ricorso (oggi nella decisione decisivi i bersaniani) e non rinuncia alla candidatura
di Vincenzo Iurillo

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Il Fatto 9.3.16
La mossa di Denis
Mobilitati gli ex berlusconiani del centro storico
Il Guardasigilli, De Luca e i verdiniani
Valente uscita dal laboratorio di Lotti
di Fabrizio D’Esposito

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Il Fatto 9.3.16
Piccoli capibastone
di destra e sinistra
passati al renzismo
Dall’assessore di Scampia per Forza Italia al capogruppo di epoca Iervolino: ecco chi ha truccato i gazebo
di Enrico Fierro

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Il Fatto 9.3.16
Faccia da Orfini : “Tutto regolare”
Per il dirigente non c’è nessuna anomalia: “L’affluenza a Roma è stata buona,le procedure ai gazebo impeccabili al 99 per cento e la Valente rimane la candidata a Napoli”
di Wanda Marra

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Il Fatto 9.3.16
Renzi, il Sud e i cacicchi: i voti che non puzzano mai
Regioni in appalto. La Campania di De Luca, la Basilicata dei Pittella, la Sicilia di Faraone che arruola il centrodestra: il Pd non butta via niente
di Antonello Caporale

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il manifesto 9.3.16
Sospetti incrociati nel Pd: «Ma così volano gli stracci»
Primarie. Il ricorso di Bassolino provoca parecchi malumori. E c'è chi si interroga sul boom di voti per l'ex governatore in alcuni quartieri
Adriana Pollice


NAPOLI Le immagini di Fanpage.it che hanno scatenato le maggiori polemiche sulle primarie partenopee di domenica scorsa riguardano il seggio di San Giovanni a Teduccio. Il video mostra il consigliere comunale dem Antonio Borriello che accoglie gli elettori e ad alcuni consegna l’euro necessario per votare. «L’ho fatto per non essere scortese come partito, faceva freddo, erano venuti lì, non avevano l’euro e così gliel’ho dato io» ha spiegato lunedì. In quel seggio la vittoria è andata a Valeria Valente, finita sotto attacco dei sostenitori di Antonio Bassolino.
Dal quartier generale della deputata dem, ieri si domandavano: «Come mai nessun rappresentante dei candidati sconfitti ha sollevato obiezioni? Come mai non sono state bloccate sul nascere le ’operazioni di mercimonio’? Come mai i verbali consegnati sono stati controfirmati da tutti senza esitazione?». Il comunicato è stato firmato da Maria Grazia Pagano, Maria Fortuna Incostante, Angela Cortese e Paola Vairano.
Quattro volte senatrice e poi eurodeputata, migliorista quando ancora c’era il Pci, Graziella Pagano conosce bene il mestiere di politico e come si fanno le campagne elettorali: «Nel 2011, quando annullammo le primarie, ero presidente del partito, le proteste dai seggi arrivarono da subito, a urne ancora aperte. Alcuni gazebo dovemmo chiuderli in corsa. Domenica nessuna protesta. Per salvaguardare il voto, abbiamo incrociato i rappresentanti: i presidenti di area di un candidato, gli scrutatori di un altro. In un solo seggio a Poggioreale sono state trovate delle schede in più ed è finito a verbale. Io ero all’Arenella, tre anziani non avevano l’euro ma, c’è stato chi non aveva spicci e ci ha lasciato 5euro, abbiamo compensato».
Quindi su Borriello nessun problema? «Tonino fa politica lì da più di vent’anni, nel Pci si sarebbe detto che fa segretariato sociale: chi non sa fare la carta d’identità, chi ha problemi con la casa, con la pensione va da lui. Fa quello che in altre aree fanno i Caf. Se nelle zone popolari una famiglia di 5 persone va a votare i 5 euro non te li dà, sarebbe meglio utilizzare la sottoscrizione». Borriello è stato uno dei pretoriani di Bassolino: ha celebrare il matrimonio civile tra l’allora governatore e Anna Maria Carloni, per 17 anni è stato anche uno dei terminali del suo consenso, domenica i voti di Napoli est sono stati fatali. Bassolino ieri ha presentato ricorso, la decisione ha provocato molti malumori, «così voleranno gli stracci» dicono voci dal Pd.
Ad esempio c’è chi trova sospetto il boom di consensi per l’ex governatore in certi quartieri: «Chiaiano è sempre stato la spina nel fianco, pure quando c’era il Pci – raccontano -, da dove sono venuti questi voti? A San Pietro a Patierno sono tutti di Forza Italia e mo’ ci troviamo con più votanti di sinistra alle primarie che alle elezioni». Ieri Fanpage ha pubblicato un nuovo video con Claudio Ferrara, assessore di centrodestra della VIII Municipalità, intento a guidare gli elettori al seggio a Scampia, e Giorgio Ariosto, candidato nel 2011 con Pid (fondato da Totò Cuffaro), che domenica sera era al comitato Valente per i festeggiamenti.

Il Sole 9.3.16
A sinistra del Pd. L’ipotesi della candidatura di uno dei due
A Roma Bray o Marino potrebbero disturbare la corsa di Giachetti
di M.Per.


La minoranza dem sbarra la strada a qualsiasi ipotesi di sostenere a Roma un candidato sindaco alternativo a Roberto Giachetti, vincitore delle primarie di domenica scorsa. Ma a sinistra il fervore c’è. Ad animarlo è il nome di Massimo Bray, ex ministro dei Beni culturali del governo Letta, deputato Pd fino allo scorso marzo, direttore della Treccani e dalemiano di ferro. Capace, secondo chi lo invita a gettarsi nella mischia, di intercettare tanto l’elettorato di Sel quanto i cittadini rimasti fedeli all’ex sindaco Ignazio Marino. Con l’aggiunta della base Pd delusa dalle vicende romane.
Potrebbe essere lui a sparigliare le carte, insidiando la candidatura di Stefano Fassina (che resta la scelta di Sel sostenuta dal coordinatore nazionale, Nicola Fratoianni, e da quello romano, Paolo Cento) e quella di Ignazio Marino, che ancora tace. Tra oggi e domani Bray e Marino dovrebbero incontrarsi: se il primo decidesse di scendere in campo, il secondo farebbe un passo indietro assicurandogli pieno sostegno. Se Bray alla fine rifiutasse, complici anche le pressioni degli ex colleghi Pd che lo invitano a non azzoppare Giachetti (come Ettore Rosato e Andrea Marcucci), l’ex sindaco potrebbe ancora valutare una sua candidatura.
«Il nostro candidato è Fassina», precisa Fratoianni. «Se poi dovessero intervenire altre ipotesi e disponibilità valuteremo». Più conciliante il deputato Alfredo D’Attorre, ex Pd ora militante di Sinistra italiana: «In campo c’è Fassina. Se Bray si dicesse disponibile, metteremo in piedi un meccanismo serio di scelta democratica attorno a un programma condiviso e sceglieremo la figura più adeguata a rappresentare quel programma».
È forte non soltanto a Roma la tentazione di occupare uno spazio a sinistra lasciato scoperto da un Pd che guarda sempre di più ai moderati e “abbraccia” i verdiniani invisi alla minoranza dem. Fibrillazioni si registrano anche a Milano, dove pure Sel, tra molti mal di pancia, ha deciso di sostenere l’ex commissario di Expo Giuseppe Sala. L’ipotesi di una lista “arancione”, segno di continuità con la giunta Pisapia, capeggiata da Francesca Balzani sembra infrangersi contro l’indisponibilità della stessa Balzani, che in cambio chiede la riconferma a vicesindaca e scioglierà la riserva nelle prossime ore. E sale il pressing sull’ex magistrato Gherardo Colombo perché si candidi alla sinistra di Sala. Più nette le scelte altrove: la sinistra fuori dal Pd sostiene Luigi De Magistris a Napoli e ha propri candidati a Torino e a Bologna. Ma è a Roma che spaventa.

il manifesto 9.3.16
La sinistra e il fantasma del candidato, Oggi lo ’spareggio’ fra Marino e Bray
Campidoglio. Sel: allarghiamo il campo. Fassina: faremo le primarie
di Daniela Preziosi


Dovrebbe essere la giornata risolutiva per i dubbi della sinistra-sinistra romana che cerca un candidato per il Campidoglio ma per ora se ne ritrova tre. Il condizionale è d’obbligo: sulla telenovela circolano boatos e ricostruzioni di fantasia. Oggi però l’ex ministro Massimo Bray e l’ex sindaco Ignazio Marino si incontreranno a pranzo. Incontro «definitivo», assicura chi ha parlato con entrambi. Poi hanno appuntamento con esponenti di Sel. Bray, benché iscritto Pd, è pronto a «mettersi a disposizione» dell’area a sinistra di Renzi. Marino anche; ma ci mette un di più di protagonismo personale. E di rivincita per il ’maltrattamento’ che è convinto di aver subìto dal suo partito. Entrambi sono vicini al presidente di Italiani europei, ragione per la quale sui social circola l’idea che dietro la possibile riunificazione a sinistra c’è «l’ombra di D’Alema»: ma potrebbe anche finire in una deflagrazione.
Fra i due, il terzo uomo naturalmente è Stefano Fassina, ex viceministro di Letta, ex Pd e oggi frontman di Sinistra italiana. Dallo scorso novembre scarpina per tutta Roma da candidato sindaco. Sabato scorso, trascurato dai media («oscurato» dicono i suoi) ha riempito il Teatro Quirino per lanciare il programma de «La meglio Roma», slogan della sua corsa. Ma i giochi sul suo nome non sono ancora chiusi. Non del tutto almeno.
Tant’è che ieri il presidente Pd Matteo Orfini – alle prese con presunti brogli alle primarie napoletane e con qualche incongruenza anche nel voto romano, come il «mistero» delle quasi 3mila schede bianche che incuriosisce detrattori e militanti – si è tolto lo sfizio di suggerire a Fassina di passare anche lui per i gazebo: «Credo che il mio amico Fassina capisca oggi perché gli suggerivo di fare le primarie: quando una candidatura la decidono in tre, gli stessi tre possono rimangiarsela qualche mese dopo, come stanno provando a fare con lui, mostrando peraltro una certa ingratitudine».
La battuta non è amichevole. Ma non c’è problema, ha spiegato lo stesso Fassina ieri in Transatlantico: «Se sul progetto messo in campo emergono altre candidature è un fatto positivo, vuol dire che è attrattivo». E nel caso «sceglieremo con le primarie». Conferma un altro ex Pd, Alfredo D’Attorre: «A Roma è in campo la candidatura di Fassina che ha messo al centro una serie di proposte concrete per la Capitale. Se ci sono altre personalità che danno disponibilità a misurarsi, come l’ex ministro Bray, metteremo in piedi un meccanismo serio di scelta democratica attorno a un programma condiviso e alla figura più adeguata a rappresentare quel programma. D’altronde l’assurdo delle primarie Pd è proprio il fatto che si sono svolte attorno a un vuoto di proposte».
L’allargamento dell’area della sinistra radicale ad altre personalità in uscita dal Pd sarebbe in ogni caso alle porte. Ieri Paolo Cento, segretario romano di Sel, ha parlato del varo di «un laboratorio per un’ampia coalizione civica, una coalizione larga, democratica e di sinistra capace di aggregare i tanti elettori delusi dal Pd. La candidatura di Fassina ha aperto uno spazio pubblico di iniziativa che può coinvolgere uno schieramento ampio da Marino a Bray e nei municipi tante associazioni e comitati di base».
L’eventualità che Bray passi oltre le linee sinistre del Pd e approdi nel campo (un tempo) vendoliano comincia ad agitare il partito del Nazareno. Che moltiplica gli appelli alla lealtà. Gianni Cuperlo propone «una federazione» dentro e fuori dal Pd ma una lista ’di sinistra’ in appoggio al candidato Roberto Giachetti. Che a sua volta è netto contro l’ex ministro: «Avevo auspicato che Bray partecipasse alle primarie, la sua risposta è stata che non voleva fare una candidatura divisiva. C’è una tentazione costante nella sinistra di far perdere il centrosinistra. Ora non capisco come farebbe a non essere divisiva. Ma a questo punto, un’altra candidatura non ha alcuna speranza: ha solo la possibilità di decidere che al ballottaggio ci vanno M5S e centrodestra».

il manifesto 9.3.16
Deboli primarie
Il voto delle città. Sinistra alla difficile prova dell’unità
di Sandro Medici


Anche lo scarno coinvolgimento popolare nelle primarie conferma quanto sia esile la candidatura di Roberto Giachetti a sindaco di Roma. Non che i suoi competitori squillino o risaltino, ma tornare a guidare il Campidoglio o raggiungere le soglia di ballottaggio, per il Pd appare arduo. E del resto, siccome la politica di solito non fa sconti, è inevitabile che così vadano le cose. Dopo la deludente esperienza della giunta Marino e dopo la sua ignobile defenestrazione, la credibilità del partito si attesta su quote di mera sopravvivenza.
Dunque il candidato Giachetti è debole. Ed ecco qua e là affiorare in suo soccorso le prime movimentazioni politiche, palesi o sottotraccia che siano. Quelle obbligate, provenienti da saloni, salotti e sottoscala governativi. Quelle scontate, orchestrate da un’informazione conformista e cortigiana. Quelle impigrite, motivate dalla pavida rassegnazione al meno peggio. Quelle interessate, giustificate dal timore di dover rinunciare a prebende e linee di finanziamento. Quelle malintese, prigioniere di un’appartenenza politica ormai completamente svanita. E infine quelle (per così dire) di convenienza, dettate dall’ansia di ritrovarsi nudi e crudi, sguarniti e indifesi.
Non stiamo qui a stupirci se l’esteso sottobosco di notabili, faccendieri e guardaspalle si sentano impegnati a salvaguardare se stessi e gli assetti di potere che li nutrono. O se l’indistruttibile trama politica centrista preferisca rivolgersi al bischero rampante, piuttosto che al cavaliere cadente o, ancor peggio, agli stellati emergenti.
Ma se a soccorrere il candidato di Matteo Renzi ritroviamo anche chi dovrebbe al contrario contrastarlo, allora un po’ di stupore dobbiamo pur ammetterlo. Con amarezza e dispiacere, oltreché con quel disperante rammarico che come una dannazione emerge tutte le volte che solo si profila un’unità delle sinistre. Che è esattamente quel che a Roma si sta provando a realizzare. Così come a Torino, Trieste, Bologna, Napoli, Ravenna e in diverse altre città. Tra tormenti e fatiche.
Si possono capire diffidenze e incredulità. Si può capire quanto possa apparire ancora parziale e di sicuro imperfetto. Ma è tuttavia un processo in atto, che come prima tappa (prima, non ultima) ha scelto di misurarsi con le elezioni comunali. Sta insomma per comporsi una lista unica della sinistra, che ambisce a governare Roma in alternativa alle destre, al movimento cinquestelle, al Pd e a chiunque altro. Un progetto autonomo, dunque, che recide definitivamente i legami parassitari del recente passato.
Come tutti e ciascuno, Stefano Fassina a Roma si segnala per qualità e limiti. Ma un merito gli va indiscutibilmente riconosciuto. E’ riuscito a tenere insieme quel che da anni insieme non stava più. Partiti, forze sociali, movimenti, soggettività, intenti e stati d’animo. Si è di fatto autocandidato, è vero. Ma paradossalmente ha consentito un’aggregazione politica, che, se lasciata alle solitudini dei tavoli di confronto o agli esiti di irrealistici processi partecipativi, non avrebbe fatto neanche un passo. Intorno a lui s’è insomma creato un embrione di quel che potrebbe diventare un’esperienza nuova della sinistra romana. Ancora insufficiente, non del tutto definita, forse manchevole nella sua impronta culturale. Ma tuttavia viva, vitale e desiderosa d’incamminarsi verso prospettive promettenti.
Ecco perché i tentativi di incrinarne il percorso e offuscarne il senso appaiono insensati e anche un po’ meschini. Avanzare nuove candidature a sinistra, riesumare figure inaffidabili, alludere a improponibili scappatoie arancioni non solo indebolisce il progetto unitario e disorienta l’elettorato, ma trasmette quella disperante sensazione di una sinistra patologicamente divisa e inconcludente. Va da sé che tale sensazione non può che suscitare ulteriore disincanto. A beneficio di altri: per esempio, del Pd renziano del renziano Giachetti.
Ma come sappiamo la strada dell’unità delle sinistre è lastricata di agguati e di insidie. C’è solo da percorrerla con il respiro profondo e lo sguardo lungo, sperando che non se ne aprano altre, tanto malintese quanto ingannevoli.

il manifesto 9.3.16
Il valore d’uso di Marx
Pensiero critico. Dal lontano Ottecento alle aspre dispute teoriche del secolo breve
Ai nodi irrisolti del presente. In tre volumi una accurata e mai consolatoria storia del marxismo per Carocci
di Roberto Finelli


Stefano Petrucciani, studioso consolidato del marxismo, della Scuola di Francoforte, dell’opera di Jürgen Habermas, ha curato una articolata nuova Storia del marxismo che ora viene pubblicata dall’editore Carocci in una edizione in tre ampi, ma insieme maneggevoli, volumi.
L’impresa è di tutto rispetto, perché dopo la Storia del marxismo della Einaudi pubblicata ormai quasi cinquant’anni fa, si prova a ripensare, in un modo articolato e non riducibile a una prospettiva uniforme, «una mappa delle molte avventure di pensiero – come scrive il curatore – che, a partire più o meno dal 1883, l’anno della morte di Marx, si sono dipanate prendendo le mosse dalla sua eredità intellettuale».
Il primo volume (Socialdemocrazia, revisionismo, rivoluzione. 1848-1945) è dedicato alla stagione più classica dei marxismi: alla configurazione che Engels ha consegnato dell’opera di Marx alla tradizione socialista, al dibattito tra ortodossia e revisionismo nella socialdemocrazia, alla prima discussione sul marxismo in Italia tra Labriola e Croce, alla specificità e originalità del marxismo di Gramsci rispetto a quello sovietico, all’austromarxismo e alla nesso tra filosofia e marxismo tra Seconda e Terza Internazionale (con saggi di Merker, Mustè, Carpi, Cesarale, Liguori e lo stesso Petrucciani).
Il secondo volume (Comunismo e teorie critiche nel secondo Novecento) si occupa delle elaborazioni della tradizione marxista che hanno avuto luogo soprattutto a partire dal secondo dopoguerra. Cristina Corradi ha curato le Forme teoriche del marxismo italiano (1945-79), Manlio Iofrida Marx in Francia, Petrucciani e Eleonora Piromalli La Scuola di Francoforte, Giorgio Cesarale Filosofia e marxismo nell’Europa della Guerra fredda, Guido Samarani, Marxismo e rivoluzione in Asia, José Paulo Netto Il marxismo in America Latina, Alex Callinicos Il marxismo anglosassone. Il terzo volume (Economia, politica, cultura: Marx oggi) comprende una serie di saggi che intendono trattare della ricchezza e della fecondità del pensiero di Marx ancora oggi, nella connessione contemporanea tra marxismo e scienze sociali, in una varietà che va dall’economia e dalle teorie della crisi al pensiero politico, dall’estetica all’antropologia, dal femminismo agli studi postcoloniali, dalle analisi della globalizzazione alle teorie del sistema-mondo.
L’evoluzione delle idee
In questo terzo volume Riccardo Bellofiore ha scritto su Capitale, teoria del valore e teoria della crisi, di nuovo e insieme Petrucciani, Piromalli, Cesarale su Teoria dello Stato e della democrazia, Giulio Azzolini su L’analisi dei sistemi-mondo, Luca Basso su Il marxismo nelle scienze umane: psicologia, psicoanalisi e antropologia, Cinzia Arruzza su Il genere del capitale: introduzione al femminismo marxista, Stefano Velotti su Estetica, arte, cultura nella riflessione marxista. In tale ampio contesto di temi e di autori non è chi non veda ovviamente la utilità e la bontà di quest’opera, che intende proporsi come una vera e propria Enciclopedia del marxismo nella dimensione sia storica, della genesi e della evoluzione delle idee, sia teoretico-scientifica quanto a capacità dei marxismi di aver proposto e di continuare a proporre una visione del mondo, dell’essere umano, della storia, della cultura, della politica indispensabile per orientarsi nella vita del più prossimo passato e dell’oggi.
Gli autori, messi all’opera, sono tutti studiosi di ottimo livello e di profonda competenza nelle aree di loro specifico interesse e la capacità di attenzione e di scelta mostrata in tal senso dal curatore ha contribuito a dare a tutti i tre volumi un carattere didatticamente efficace e, nello stesso tempo, uno stile di facile lettura. Per queste caratteristiche questa Storia del marxismo merita di essere collocata non solo nelle biblioteche specializzate ma anche e soprattutto nelle biblioteche dei licei come ottimo strumento di introduzione e di divulgazione su temi e problemi fondamentali della modernità. Anche perché la ovvia diversità delle prospettive interpretative assunte dai diversi autori si ricompone ad unità nella comune distanza da qualsiasi atteggiamento di valorizzazione dogmatica ed arcaica della tradizione marxista.
L’altro Novecento
È ovvio, del resto, che anche questa Storia non può né vuole essere completa. Ci sono delle mancanze significative, soprattutto nella rassegna dei marxismi più up to date, più contemporanei e di attualità. Ma non si può pretendere esaustività da un’opera che copre uno spazio temporale e una tematica così ampia. Per altro anche da questo lato lo hegeliano Spirito del tempo ci aiuta. Perché non si può non citare, per chiunque volesse integrare e approfondire la lettura di questa Storia del marxismo, l’opera, di pari impegno, anche se di diversa impostazione, intrapresa dallo storico Pier Paolo Poggio, direttore della Fondazione Micheletti, con la pubblicazione di cinque poderosi volumi, assai utili per la profondità dei saggi proposti, su L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico: di cui sono usciti finora tre tomi, passati quasi del tutto sotto silenzio mediatico, presso la casa editrice Jaca Book.
La lettura integrata di queste due opere collettive può ben valere, io credo, al ritorno a una discussione in una prospettiva di che non si vergogni di utilizzare categorie come «totalità», «globalizzazione», «sistemi»: e a trattare della privatezza dell’esistenziale e del personale in un dialogo con lo studio della sistematica economica e sociale della nostra realtà: che non è postmoderna quanto invece ipermoderna. È lo Spirito del nostro tempo, con l’egemonia cioè e con la diffusione incontrastata dell’economia del capitale sull’intero globo, che ci obbliga a tornare a pensare secondo le categorie dell’universale Astratto e della monocultura. Che ci insegna quanto il tempo del postmodernismo sia ormai concluso, insieme alla retorica esaltata, che l’ha caratterizzato, del frammento, dell’ermeneutica, della risoluzione di ogni realtà in linguaggio, della decostruzione di ogni assetto complessivo di senso. Che ci dice quanto ormai sia esaurito il tempo dell’heideggerismo, sepolto alla fine dal suo medesimo antisemitismo, rivelatosi alla fine consustanziale – e non accidentale – a una filosofia, apparentemente irenica, ma sostanzialmente decisionistica e autoritaria come quella heideggeriana. Dato che, come ha ben argomentato ultimamente Francesco Fistetti, per la filosofia del «pastore dell’Essere» l’ebreo è l’apice stesso dell’essenza della «tecnica».
Cambio di prospettiva
Ci dice, insomma, lo spirito del tempo, che tutte le filosofie e gli orientamenti culturali che hanno preso alimento dalla differenza ontologica tra Essere ed Esserci hanno fatto riferimento a un pensiero, in ultima istanza, conservatore ed arcaico che poneva molto del suo sforzo più a ipostatizzare parole, come insegnava il vecchio e nobile maestro Guido Calogero, – e con ciò a creare miti ed illusioni che scambiano parole con realtà – anziché pensare e studiare la realtà medesima.
Il totalitarismo dell’universale capitalistico insomma ci dice che è ora di tornare a pensare le differenze reali che attraversano e strutturano l’essere umano: quella, orizzontale e sociale, delle differenze di classe, e quella, verticale, della differenza (auspicabilmente nell’integrazione) tra corpo emozionale e mente logico-discorsiva. La Storia del marxismo diretta da Petrucciani può aiutarci a pensare insomma che il paradigma linguistico che ha preteso risolvere ogni realtà in linguaggio, e in cui si sono comunemente riconosciuti analitici e continentali, si sia ormai estenuato e che si possa ritornare a pensare il presente – al di là di tutte le rotture e apocalissi che l’operaismo e il postoperaismo marxista ci hanno propinato in varie salse durante questo trentennio – secondo il rigore della continuità nel divenire del passato e del futuro.