martedì 9 febbraio 2016

Repubblica 9.2.16
Il “rosso” di Hollywood che raccontò l’America
Esce giovedì nei cinema “L’ultima parola-La vera storia di Dalton Trumbo” con Cranston candidato all’Oscar
di Natalia Aspesi

L’ULTIMA parola – La vera storia di Dalton Trumbo, negli Usa è stato apprezzato ma anche distrutto, e così faranno anche i nostri critici. Ma per noi spettatori non è necessario che un film sia un capolavoro perché sia appassionante: basta che sappia raccontare un momento della Storia che ci eravamo dimenticati o non avevamo mai approfondito, con una certa verosimiglianza e onestà.
Il film, diretto da Jay Roach ci riporta negli Usa della Guerra Fredda, del terrore americano per l’Unione sovietica che nella guerra appena vinta era stata un alleato, della caccia alle streghe a Hollywood che era considerata un covo rosso. Il film si apre con una scena ispirata a una celebre fotografia, in cui Trumbo, interpretato da un geniale Bryan Cranston (star della fiction Breaking Bad) candidato all’Oscar, occhiali cerchiati di nero e baffoni grigi, è immerso nella vasca da bagno, un bicchiere di wiskey da una parte, una sigaretta con bocchino dall’altra, e davanti un leggio che sostiene i fogli di carta su cui scrive i suoi film. Poi lo vediamo a una festa tipica di Hollywood, da ricchi e famosi, tutti in smoking e abito da sera, in cui lo sceneggiatore viene insultato come “comunista con piscina”: con il suo lavoro infatti guadagna molto e con la moglie (Diana Lane) e i tre figli vive in un grande ranch irraggiungibile e senza telefono, ma è anche iscritto dal 1943 al partito comunista americano e sostiene gli scioperi dei lavoratori dello spettacolo, come il film fa vedere dai cinegiornali d’epoca.
Ma le storie che scrive per il cinema non paiono affatto antiamericane: tra i primi film che arrivarono in Italia dopo l’interruzione della guerra, ce ne sono di molto amabili, film d’amore in bianco e nero, come Kitty Foyle ragazza innamorata o Ho sposato una strega. Le signore adoravano i cappellini di Ginger Rogers e la pettinatura di Veronica Lake, copiandoli. Era impossibile associare quei film al comunismo, che del resto in Italia era un grande partito, ma negli anni della Guerra Fredda, in America, essere comunista voleva dire essere un traditore, disprezzato e messo al bando.
Si alternano, sullo schermo, brani di cinegiornali di quegli anni e fiction, attorno al processo che il Comitato per le Attività Antiamericane istruisce a Washington dal 20 ottobre 1947, contro i possibili comunisti del cinema: compaiono prima gli “amichevoli” e noi li vediamo dal vero d’epoca, da Robert Taylor a Ronald Reagan, che denunciano senza problemi quelli che secondo loro sono comunisti. Come dal vero vediamo Humphrey Bogart e Lauren Bacall nel pubblico che sostiene gli accusati. Il mondo del cinema ha ricevuto il mandato di comparizione per 19 persone, dichiarate “testimoni ostili” ma solo in 11 vengono chiamati davanti alla Commissione: Bertolt Brecht risponde così bene ai furibondi giudici che riesce a non essere accusato di vilipendio del Congresso. Gli altri diventeranno gli “Hollywood ten”, i dieci condannati a mesi di prigione (Dalton Trumbo a 11), e poi privati del loro lavoro per decisione dei produttori. Qual era la colpa imperdonabile dei 10? Non, aver scritto o diretto film “bolscevichi”, ma aver rifiutato di rispondere, appellandosi al primo emendamento della Costituzione americana, che protegge ogni libertà, a una sola domanda «Lei è o è mai stato iscritto al partito comunista?».
Uno dei nemici più accesi di Dalton e dei supposti comunisti, era la regina dei gossip Hedda Hopper, celebre per i suoi cappellini fioriti, i tailleur rosa e le delazioni nelle sue rubriche: la interpreta un’aggraziata, leggiadra, invincibile Helen Mirren, molto brava a non farne una macchietta. Altri attori interpretano i personaggi di allora con una certa somiglianza: paiono redivivi John Wayne, massimo anticomunista, Edward G. Robinson che dapprima vende i suoi van Gogh per sostenere i 10 ormai impoveriti ma poi li tradisce perché non lo fanno più lavorare, «e io ho solo questa faccia». Anche Kirk Douglas, il regista Otto Preminger, e i fratelli King (uno è il grasso e come sempre divertente John Goodman) produttori di film a basso costo, rivivono nella storia di Trumbo. I fratelli gli diedero da lavorare con uno pseudonimo in filmetti senza storia, Douglas volle che rivedesse la sceneggiatura di Spartacus, Preminger gli affidò Exodus nel 1960 e contro gli altri produttori volle finalmente restituire a Trumbo il diritto al lavoro e al nome. Anche Spartacus gli fu restituito e i due Oscar a Vacanze romane e La più grande corrida, gli furono poi riconosciuti.
Tra i non molti film ispirati al maccartismo e a Trumbo, i più interessanti sono Il prestanome di Martin Ritt con Woody Allen, 1976, e Good night and good luck diretto da George Clooney nel 2005.