Repubblica 8.2.16
“Ma la qualità di noi studiose non si giudica con i best seller”
di Francesco Erbani
ROMA.
«Non ho dati, ma l’impressione è che la questione riguardi il best
seller, non tanto il saggio di storia in sé». Anna Foa, storica
dell’Università La Sapienza, ha al suo attivo importanti studi sull’età
rinascimentale, sull’ebraismo e sulla metodologia storiografica. A suo
avviso il fatto che poche donne figurino nelle classifiche dei best
seller indica che i best seller sono una cosa, la ricerca storica è
un’altra. A volte coincidono, tante altre no.
Non ci sarebbe, secondo lei, una prevalenza degli storici maschi?
«I
libri più venduti non credo siano un indicatore affidabile. I saggi di
storia più diffusi sono anche quelli più tradizionali. Raccontano
vicende di guerra, sono biografie di grandi personaggi. È un settore nel
quale le storiche si cimentano meno».
Dunque sarebbe questo il motivo di una ridotta visibilità delle storiche?
«Molte
storiche sono innovative, i loro metodi d’indagine e gli argomenti che
affrontano difficilmente incontrano l’interesse del grande pubblico dei
lettori. Che invece predilige una narrazione storica più lineare ».
Quindi la questione riguarda più l’editoria che non la ricerca?
«In un certo senso sì. Il valore delle storiche non si può misurare con il numero di copie vendute ».
Ma quali sono gli argomenti trattati prevalentemente dalle storiche?
«Certamente
la storia delle donne medesime, ma anche la storia dell’infanzia, delle
famiglie, della mentalità. C’è la storia culturale, con la quale si
misurano molte storiche adottando nuovi metodi di studio. Un altro
settore è quello della storia sociale. In questi ambiti la ricerca
procede e dà buoni risultati. Non è detto che abbia immediati riscontri
di mercato».