Repubblica 13.2.16
Dalla crisi può nascere la vera Europa
di Nadia Urbinati
LE
CRISI possono diventare occasioni importanti di rinnovamento e di
ridefinizione di vecchi equilibri di potere, soprattutto in quelle
congiunture storiche nelle quali l’ordine esistente si alimenta della
rovinosa continuazione della situazione di stallo. Questa è stata per
molti versi la dinamica che ha visto nascere l’ideale europeo moderno.
Essa si è sprigionata dall’interno dell’Europa dei totalitarismi e dei
nazionalismi; anzi, dalle prigioni e dai luoghi di confino dove quei
regimi liberticidi avevano voluto mettere a tacere gli avversari
politici. L’ideale di una unione politica continentale fu maturato nella
clandestinità, intuizione di pochi visionari convinti che solo gettando
il cuore oltre l’ostacolo si potesse sconfiggere lo status quo e dar
vita all’Europa del dopo, democratica e pacifica. È importante ricordare
oggi che fu all’interno di una cornice anti-nazionalistica che prese
corpo il Manifesto di Ventotene, uno dei prodotti più significativi
dell’ideale liberal socialista.
Nelle interviste di Eugenio
Scalfari a Laura Boldrini e di Stefano Folli a Giorgio Napolitiano,
ospitate su Repubblica, non si può non sentire la forza di quell’ideale,
e soprattutto la consapevolezza che ci troviamo, di nuovo, in una
situazione di stallo critico, di equilibrio catastrofico che può avere
esiti regressivi. Perché, come allora, anche oggi i pericoli al progetto
di unione vengono dal nazionalismo, populista e non. Ben inteso, da
quando la crisi economica si è abbattuta sul nostro continente e le
politiche europee hanno messo a dura prova le politiche economiche e
fiscali nazionali, le rimostranze degli Stati membri non sono state
sempre ingiustificate. Le resistenze della Grecia, che lo scorso anno si
trovò pressoché sola a contestare Bruxelles e la Troika, hanno aperto
tuttavia un fronte nel quale altri paesi oggi sembrano volersi
identificare. Le polemiche sulle politiche monetarie e le regole
bancarie, sulla mancanza di una politica comune sull’immigrazione e il
rischio di sospendere provvisoriamente Schengen: tutte queste questioni
aperte, e le dinamiche politiche che possono innescare, ci inducono a
temere per il futuro del progetto europeo.
Chi può rompere questo
stallo, questo equilibrio potenzialmente catastrofico? Sostiene
Napolitano, con ottime ragioni, che solo chi sa vedere oltre le strette
politiche nazionali, chi non si lascia incagliare nelle questioni
locali, può vincere la battaglia europea e, quindi, anche quella
nazionale. Non vi è modo per reagire a chi vuole rialzare muri e
chiudere le frontiere se non portando il cuore oltre l’ostacolo,
progettando una soluzione che non sia nè un ritorno al passato, con gli
stati padroni (nani) in casa loro, ma nemmeno la persistenza dello
status quo, magari per strappare con trattative nazionali un piccolo
“parecchio”. L’Europa degli accordi intergovernativi che si è
stabilizzata in questi anni di crisi rischia di aprire entrambi questi
scenari, alimentando una voglia di secessione. Per contenere sul nascere
questi esiti occorrerebbero grandi leader, visionari che sappiano
convicere i loro cittadini e quelli europei che il vero utile nazionale
si persegue con politiche anti-nazionaliste. Che si deve volere l’Europa
per voler il bene delle proprie società nazionali.
L’Europa deve
farsi politica, dunque; superare il livello intermedio dell’attuale
costituzionalismo funzionale, indiretto e burocratico, per marcare il
corso verso un costituzionalismo compiutamente politico, dove obiezioni e
proposte possano godere di legittimità democratica. E che sia il
presidente della Bce, Mario Draghi, a farsi propugnatore di questo salto
oltre l’ostacolo, a suggerire una unione politica “più perfetta” come
direbbero gli americani, a prospettare la necessità di una politica
bancaria e fiscale europea, strada verso un governo continentale
legittimo, rende pienamente il senso della situazione grave nella quale
si trova il progetto di Ventotene. Non leader politici, ma un leader
“tecnico”, responsabile di un potere neutro, sente l’urgenza di avviare
un’innovazione istituzionale forte. L’Europa con un bilancio comune, con
politiche fiscali comuni e cogenti, condizioni essenziali per una vera
unione monetaria e bancaria: l’Europa come progetto federale.
Nell’Europa
autoritaria e dei totalitarismi, nacque una visione politica e morale
che aveva un respiro sovrannazionale. Il Manifesto di Ventotene
rispecchiava quella visione assai fedelmente quando sosteneva che “il
principio di libertà” é fondamento della società umana e la critica di
“tutti quegli aspetti della società che non hanno rispettato quel
principio”. In conseguenza di ciò dichiarava il nazionalismo degli Stati
come il vero responsabile della Prima guerra mondiale e
dell’imperialismo nazionalista che ne era seguito. Il Manifesto
sosteneva inoltre che senza il superamento della sovranità assoluta
degli Stati la diseguaglianza economica e il nazionalismo avrebbero
continuato ad essere un rischio per la pace, anche qualora gli stati
europei fossero divenuti democratici. Fino a quando non fosse stata
superata la prospettiva nazionalistica, non ci sarebbe stato futuro
sicuro né per la pace né per la libertà. Traducendo il paradigma di Kant
in un programma politico, i visionari di Ventotene lanciavano il loro
doppio progetto: una trasformazione democratica e costituzionale interna
agli stati (che è avvenuta), e la creazione di una federazione europea
(che stenta ancora a nascere).