Repubblica 12.2.16
Che fine ha fatto l’Antimafia
Nata con Dalla Chiesa, cresciuta con Falcone e Borsellino, oggi è travolta dagli scandali. E la denuncia arriva in libreria
di Attilio Bolzoni
Svergognata
da approfittatori e mercenari, sorvegliata speciale da commissioni
parlamentari, diventata nei casi più indecenti oggetto d’indagine
giudiziaria, l’Antimafia dei pennacchi e delle bandiere si sta
suicidando. Mancanze e silenzi l’hanno trascinata nelle sabbie mobili,
convenienze e scandali l’hanno mandata sotto processo. Soffocata dalla
retorica, in questo 2016 è precipitata nelle pagine dei libri. Sarà
l’anno delle pubblicazioni contro coloro che dicono di stare
dall’altra
parte, fondazioni, federazioni, associazioni, comitati e circoli — nei
registri di Comuni e Regioni se ne registrano pressappoco duemila — una
giungla di sigle e di acronimi dietro le quali spesso si nasconde solo
la voglia di agguantare il finanziamento più ricco. Convegni,
conferenze, progetti, carovane, girotondi. In tempi di scialo c’è chi ha
lanciato sul mercato della legalità anche la «sciata antimafia».
La
realtà riversa la sua materia nelle cronache e nei saggi, le ipocrisie e
le doppiezze di un mondo che ha smarrito il suo spirito originario
vengono riportate in tre testi — e sono solo quelli annunciati, nel
frattempo un paio di case editrici hanno preso contatto con altri autori
— che usciranno uno dopo l’altro in libreria.
Il primo è già in
distribuzione per il 15 febbraio, Contro l’Antimafia (il Saggiatore),
firmato dal giornalista Giacomo Di Girolamo. Seguirà Antimafia Spa
(Chiarelettere), scritto dal redattore dell’Espresso Giovanni Tizian e
dal suo collega del Fatto Quotidiano Nello Trocchia. Poi arriverà Le
trappole dell’Antimafia (Laterza) di Enrico del Mercato ed Emanuele
Lauria, tutti e due di Repubblica. Molto è già rivelato nei titoli, il
resto è denuncia e inchiesta intorno a un movimento che è sprofondato.
Nata
ufficialmente una trentina di anni fa subito dopo l’uccisione del
generale Carlo Alberto dalla Chiesa e riconosciuta come «forza» dopo le
stragi Falcone e Borsellino del ’92, l’antimafia moderna — era antimafia
anche quella dell’occupazione dei feudi ma non sapeva ancora di
chiamarsi così — oggi in Italia sembra non rappresentare più un’altra
voce. È compromessa, ammaestrata, consociativa, dipendente da generose e
incontrollate elargizioni che le hanno messo il bavaglio. Fa sola la
mossa. Urla nei cortei ma tace nei Palazzi. Tratta e sta zitta. Che fine
ha fatto l’Antimafia guardiano del potere che, qui in Italia, con le
mafie ha sempre stretto patti?
Negli ultimi mesi ha gettato la
maschera. Le oscenità dei giudici siciliani che gestivano i beni
confiscati come in un suq, l’arresto per tangenti del presidente della
camera di commercio di Palermo Roberto Helg, la condanna per truffa
all’icona delle «Donne di San Luca» Rosy Canale che con i contributi
europei comprava abiti firmati e auto di lusso, il direttore del «Museo
della ‘Ndrangheta » Claudio La Camera indagato per appropriazione
indebita, l’ex senatore Lorenzo Diana della commissione parlamentare
antimafia accusato di associazione camorristica, il catanese Domenico
Costanzo — che si accreditava come il più illuminato e incorruttibile
degli imprenditori — inghiottito negli appalti Anas. E poi Antonello
Montante, il vice- presidente nazionale di Confindustria con delega alla
legalità, sospettato di avere avuto un «rapporto continuativo» con Cosa
Nostra da un quarto di secolo.
Un grande raggiro che oltrepassa
la profezia di Leonardo Sciascia su I Professionisti dell’Antimafia,
pubblicata sul Corriere nel gennaio 1987. Riflessione sincera con esempi
sbagliati (il sindaco di Palermo Luca Orlando e il giudice Paolo
Borsellino) e infelice nei tempi. Le parole dello scrittore furono il
pretesto, nei mesi cruciali del maxi processo, per scatenare anche
favoreggiatori e complici.
Ma cosa renderanno noto questi libri
dedicati ai «paladini» di mestiere a gettone di presenza, ai protettori
unici ed esclusivi della memoria di eroi caduti in terre di mafia? Di
soldi, tanti. Quelli provenienti dai fondi del ministero dell’Interno e
da quelli spartiti senza bando dall’Istruzione, denaro che esce dalle
casse di amministrazioni pubbliche per saziare relatori, consulenti,
esperti, consiglieri. Un assalto a incarichi — in fondazioni bancarie e
regioni — con in prima linea anche i dirigenti delle associazioni più
rappresentative.
Attrazioni fatali con i colossi delle
cooperative, intimità fra antimafia di piazza e antimafia da salotto,
relazioni morbose coltivate intorno ai soliti «protocolli di legalità»,
commistioni con cerchie ambientaliste sempre più spregiudicate. E poi la
carica delle parti civili. Non c’è gruppo o gruppetto che non provi a
costituirsi come «soggetto danneggiato » in un grande processo — da
Mafia Capitale a quello sulla trattativa Stato-Mafia — aprendo sedi
improvvisate nella città dove si celebra il dibattimento. È un baraccone
itinerante, un circo. A volte, anche un trampolino per la politica.
Nominati per virtù antimafiose. Scrive Di Girolamo: «L’Antimafia ha
perso perché si è creato un circuito in cui tutti ci guadagnano..».
Ferma,
in posa perenne, incapace di intercettare le nuove forme di
criminalità, prigioniera di gesti e simboli ormai prosciugati di ogni
significato, è sotto accusa dal basso e dall’alto. Il presidente del
Senato Pietro Grasso l’ha richiamata «a guardarsi dentro e ad
abbandonare ogni pretesa di primazìa». Il procuratore capo di Palermo ha
puntato il dito contro «quella di facciata che serve solo per far
carriera». Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha manifestato il
suo «sconcerto» per la vicenda dei patrimoni sequestrati convertiti in
commercio familiare. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha
annunciato preoccupato la convocazione degli «Stati generali
dell’Antimafia».
La prima però a intuire che c’erano delle
storture — già un anno fa — è stata Rosy Bindi, presidente della
Commissione parlamentare antimafia. Ha aperto un’istruttoria, in molti
hanno subito ironizzato sul paradosso: «l’antimafia che indaga
sull’antimafia ». I fatti le hanno dato ragione. Qual è l’obiettivo
della Bindi? Scoprire zone d’ombra e collusioni nel movimento,
proteggere quel che di buono c’è — e non è poco — per «rilegittimarlo
smascherando ambiguità che obiettivamente esistono». Ce la farà? Più
piovono critiche e rimproveri e più alcune associazioni si blindano
intorno alla loro (ormai molto presunta) purezza, titolari di verità
assolute come nelle sette, ostili a ogni dialogo e astiose a ogni
dissenso.
Questi tre libri accenderanno ancora di più una
«discussione» che già unisce e divide. E non solo sulle esitazioni, i
tornaconti di un’antimafia sociale che ha mutato il suo Dna. Ma anche
sui travestimenti. «La mafia fa schifo» è uno slogan che ormai piace
pure ai mafiosi. La mafia ha scoperto che l’antimafia è diventato un
valore, un «capitale» per se stessa. È il luogo giusto per nascondersi.
La mafia non è più quella che spara.
Che cos’è oggi la mafia? «Io
non so più come raccontarla», dice Letizia Battaglia, la grande
fotografa di Palermo. Fra gli anni ’80 e ’90 la ritraeva con i morti a
terra o con i boss dietro le sbarre, oggi Letizia si aggira per la sua
città senza trovarla più. È uno specchio. Con un’antimafia allo sbando
che non riconosce più il proprio nemico. Cos’è oggi la mafia?
I
LIBRI Sono in uscita nei prossimi giorni tre libri dedicati alle storie
di chi sfrutta l’Antimafia: Contro l’Antimafia di Giacomo Di Girolamo (
il Saggiatore), Antimafia Spa, di Giovanni Tizian e Nello Trocchia (
Chiarelettere), e Le trappole dell’Antimafia,
di Enrico del Mercato ed Emanuele Lauria ( Laterza)