Repubblica 12.2.16
“Vincerò le pulsioni” la rieducazione del pedofilo pentito
Un
condannato per crimini sui minori racconta il suo percorso. “Ho firmato
un contratto con lo Stato: se guarisco non tornerò in galera”
di Piero Colaprico
MILANO.
«Io sottoscritto Salvatore X (…) riconosco che la società ha paura
degli autori di reati sessuali. M’impegno a far sì che la sicurezza
della comunità sia la mia primaria priorità». È questo un patto chiaro:
un contratto, tra un pedofilo, ex detenuto, e chi lo aiuta.
L’ha
firmato un uomo di mezza età, in attesa del giudizio d’appello per
pedopornografia aggravata, convinto (e spaventato) di tornare in galera.
In azienda i colleghi ignorano la sua storia. È riuscito a
mimetizzarsi, nonostante sei mesi di carcere preventivo e la condanna in
primo grado a circa sei anni. Alla fine del processo ha ascoltato il
pubblico ministero domandare per lui l’arresto immediato in aula e il
giudice riservarsi tre giorni per decidere: «In quei tre giorni avevo
sul letto due cose. La valigia per il carcere e un sacchetto di
plastica». Un sacchetto di plastica? «Per suicidarmi», risponde
Salvatore.
Siamo seduti l’uno di fronte all’altro in bar tra i
grattacieli dell’Isola, che la pioggia rende lucidi come specchi. Dal
tavolo accanto ci ascoltano senza perdere una battuta due psicologhe,
Arianna e Chiara, e un sociologo, Domenico. L’intervista è totalmente
libera, ma siamo «dentro» un esperimento terapeutico unico in Italia,
che Salvatore inizia a raccontare così: «Sono un mostro, mi dicevo. “È
la mia natura, sono nato in questo modo, e ora che faccio?”. Ma a chi
puoi confidare che provi pulsioni sessuali per i bambini? ».
Salvatore
sceglie le parole: «Inevitabilmente, sin da giovane, ti isoli. A me
sarebbe piaciuta una famiglia. Però vuoi figli? Cioè, il tuo è un
desiderio legittimo? O si tratta di un espediente per avere sottomano…?
Quindi, niente. E poi, le donne, non le vedo. La mia eccitazione va in
una sola direzione. “Salvatore — mi dicevo — fisicamente tu non fai male
a nessuno, ti vedi i filmati, trovi da solo soddisfazione immediata”,
finché quattro anni fa, alle 7 di mattina, la polizia postale ha buttato
casa mia per aria e la sera stessa sono finito in cella d’isolamento.
Anche le guardie trattano quelli come me da appestati. Ero all’inferno e
quando ho sentito il mio avvocato parlare di una possibilità… ».
A
Milano funziona il Centro italiano per la promozione della mediazione
(C.i.p.m.), basato su un concetto chiaro: non può il diritto penale
costituire l’unico collegamento tra chi causa un torto e chi lo subisce.
Un criminologo, Paolo Giulini, che assieme alla collega Francesca
Garbarino lavora da anni nella sezione speciale per gli autori di
crimini sessuali del carcere di Bollate, ha studiato (ci sono testi in
Canada e Belgio) un percorso di recupero: «Tutto è molto rigido, con
scadenze e con incontri fissi. Ci sono i “Gruppi”, dove — racconta
Salvatore — incontro persone come me, i “mostri”. Condividiamo le
emozioni, ma anche i meccanismi che portano al reato, sentimenti e
stress. Non ti senti più unico, un po’ aiuta… E poi c’è il “Circolo
sostegno di responsabilità”, dove, se così posso dire, l’attrazione sono
io, nel senso che a loro — indica i tre giovani al tavolo vicino — per
la prima volta posso raccontare le cose così come stanno. Sono libero di
non scindermi tra il Salvatore pubblico, con la sua maschera, e il
Salvatore privato. Niente farse. Perché a parte mia madre, l’unico che
sa — ammette Salvatore — è un mio compagno di liceo. Quando sono uscito
di cella l’ho chiamato: “Se vuoi ti spiego perché sono sparito”. In
ufficio no, non posso, sento i discorsi che si fanno, sul “buttare via
la chiave”, sulla “castrazione chimica”. Alla castrazione ci avevo
pensato più volte, anche se il pedofilo è come il tossicomane, siamo
uguali nella dipendenza».
Arrossisce, se spiega quanto le sue
fantasie fossero ricorrenti e ossessive. Tentava di sedarle attraverso
la stanchezza: «Facevo doppio lavoro, scoppiavo di fatica apposta, poi
arrivava la domenica, e non resistevo più. Dovevo sfogarmi. No, non
posso dire di essere guarito, ma di evitare con successo la replica di
meccanismi sbagliati sì. Ancora fatico a entrare in empatia con le
vittime, è il problema che sto affrontando. Ho soltanto scaricato film,
mi ripeto sempre, ma è una falsificazione della realtà, le vittime ci
sono, non sono virtuali, e ho contribuito anch’io. Il problema
principale, la “primaria priorità”, come da contratto, sta nel non
rifare più quello che abbiamo fatto. Per questo vedere “l’altro” è
importante. Ci vuole stomaco solo ad ascoltarmi, eh? Il suo articolo chi
lo leggerà? Nessuno».
Esistono dati scientifici sull’esperimento
milanese: equiparando i comportamenti tra sessanta uomini che hanno
frequentato un «circolo» e sessanta che non l’hanno frequentato, la
recidiva sessuale per i primi si è dimezzata (l’8% invece del 16) e la
recidiva con violenza ridotta di un terzo (18 contro 35%). Troppo poco,
diranno i tifosi della castrazione.
Guardando però Salvatore, che
come da prassi paga il suo cappuccino e se ne va sotto la pioggia ad
incontrare «il “Gruppo” degli altri mostri», viene non retoricamente da
chiedersi: sarebbe meglio se, accanto al suo «braccio violento», la
legge tentasse un metodo per aiutare i vari «Salvatore» a non restare
soli con il peso delle tragedie inflitte e subite? Oppure le nostre
città, i nostri figli, sono più sicuri se si dimenticano i «Salvatore »
sotto chiave? Rispondere non è facile, ma a Milano stanno provando in
silenzio a cercare una serratura.