La Stampa TuttoScienze 10.2.16
Usa e Cina alla sfida dei laboratori
E l’Italia è sempre più indietro
La
classifica mondiale sulla ricerca stilata da Thomson Reuters “Genomica,
nuovi materiali e lotta alle epidemie i settori al top”
di Fabio Di Todaro
In
prima fila ci sono gli Usa, con centri celeberrimi, dal Massachusetts
Institute of Technology alla Stanford University. Ma la corsa al sapere è
ormai scatenata anche nelle aree Est del Pianeta, con cinesi e
australiani che sfidano e trasformano equilibri che si credevano
immutabili. Parla chiaro la classifica delle menti scientifiche più
influenti, stilata da Thomson Reuters, agenzia di rating della ricerca
globale.
Le prossime innovazioni avranno ancora impressa la
bandiera a stelle e strisce (in parte) e arriveranno sempre di più dalla
Cina e dall’India. Solo cinque sono gli Stati europei nella lista dei
primi 12 più prolifici: Gran Bretagna (seconda), Germania (terza),
Francia (nona), Svizzera (10ma) e Spagna (12ma). Più defilata l’Italia,
in grado però di farsi apprezzare comunque per il gruppetto dei 44
scienziati inseriti nella lista dei migliori 3100 cervelli
internazionali, sui nove milioni di ricercatori attivi.
C’è poi
una seconda graduatoria, relativa ai 19 scienziati «più innovativi»
sulla base delle ricerche più citate nel 2013-2014. In testa c’è una
donna. Stacey Gabriel, 45 anni, a capo del programma di studi di
genomica del Broad Institute, laboratorio di punta nato dalla
collaborazione tra Mit e Harvard. S’è piazzata davanti a tutti per il
secondo anno consecutivo. Merito del contributo fornito nella
definizione della mappa molecolare di molti tumori. Segue Henry Snaith,
37 anni, che alla University of Oxford lavora allo sviluppo di nuove
fonti d’energia: dalle celle solari organiche alla batterie al litio. Al
terzo posto Christopher Murray, professore alla University of
Washington di «Global Health», studioso degli impatti delle epidemie.
A
completare la classifica dei «magnifici 19» ci sono altri sei
scienziati che lavorano al Broad Institute di Boston. E poi una serie di
colleghi delle università di Washington e di Los Angeles, del
Dana-Farber Cancer Institute di Boston, del Politecnico di Losanna e
dall’ateneo di Melbourne. Tre le branche più promettenti che ci
proiettano nel futuro: la genomica del cancro, le scienze dei materiali e
le indagini sulle pandemie.
Tornando alla classifica principale,
poi, si scoprono i nomi dei 44 italiani «super». È evidente che non
siamo messi bene. Il numero di svizzeri e spagnoli è superiore, sebbene
la lista non tenga conto delle eccellenze nostrane all’estero. Una
scelta che contribuisce a lasciare l’Italia alle spalle di realtà
apparentemente meno prolifiche. A guidare la pattuglia sono cinque
scienziati attivi nell’ambito della nutrizione: Maurizio Battino
(Università Politecnica delle Marche), Daniele Del Rio e Nicoletta
Pellegrini (ateneo di Parma), Mauro Serafini (Cra-Nut) e Paolo
Nannipieri (Università di Firenze).
Nelle migliori menti
compaiono, tra gli altri, anche gli ematologi Michele Baccarani
(Università di Bologna) e Mario Boccadoro (Molinette di Torino), i
cardiologi Antonio Colombo (Università Vita-Salute San Raffaele di
Milano) e Aldo Pietro Maggioni (direttore del centro di ricerca
dell’Associazione Medici Cardiologi Ospedalieri), oltre all’oncologo
Aron Goldhirsh (Istituto europeo di oncologia), al nefrologo Giuseppe
Remuzzi (Istituto Mario Negri) e all’immunologo Alberto Mantovani
(direttore Humanitas).
Non mancano esponenti di scienze «dure»,
come Erasmo Carrera (Politecnico di Torino) e Daniele Ielmini
(Politecnico di Milano) per l’ingegneria, Andrea Cimatti per le scienze
spaziali (Università di Bologna), Bruno Scrosati per la scienza dei
materiali (Istituto Italiano di Tecnologia) e Giuseppe Mingione per la
matematica (Università di Parma). Le ricerche dei 44 fanno scuola e,
tuttavia, tra difficoltà sempre crescenti. A raccontare la sfida due
protagonisti: Battino e Mingione. Nella prossima pagina.