La Stampa 8.2.16
Matteo-Beppe nemici per vocazione
di Federico Geremicca
Primarie
«made in Cina» contro primarie di «cinquanta persone mandate a fare
clic». Dunque, di nuovo Cinque Stelle contro Pd. Anzi: di nuovo Grillo
contro Renzi. Un duello lungo ormai 24 mesi, e del quale - al momento -
non si intravede la conclusione.
Leader contro leader, un classico
per la politica italiana. Cambiano i protagonisti (in peggio, secondo
alcuni), ma non il copione: ieri Berlusconi contro Prodi, e prima ancora
Craxi contro Berlinguer.
Oggi, il «comico» contro il «rottamatore»: sulle primarie, stavolta, ma certo non solo su quelle.
Col
declino lento, ma inesorabile di Silvio Berlusconi, un centrodestra
ridotto allo stato gassoso e le difficoltà di Salvini nel costruirsi un
profilo da leader, in campo ci sono - praticamente - solo loro due,
Matteo e Beppe: due che, per tanti aspetti, sembrerebbero fatti per
intendersi, e che invece non perdono occasione per polemizzare e
attaccarsi ogni volta con un po’ di veleno in più.
I Cinque Stelle
che organizzano sit-in davanti alla banca di «papà Boschi» e il Pd che
trasforma il caso-Quarto (piccolo comune del Napoletano) nella Waterloo
dell’intero Movimento; Renzi che punta le sue fiches sulla legge sui
diritti civili e Grillo che si alza dal tavolo nella mano decisiva. Sono
solo gli ultimissimi fuochi di un duello senza quartiere: del quale
pochi immaginano la fine, mentre molti ricordano l’inizio.
Giusto
febbraio di due anni fa, Renzi presidente incaricato di formare un
governo, Grillo subito ad attaccarlo. Storico, a modo suo, l’incontro in
streaming tra i due leader. Beppe all’attacco, Matteo ancor di più.
Pochi minuti per incontrarsi e dirsi addio, con la frustata finale
dell’allora presidente del Consiglio in pectore: «Beppe, esci da questo
blog...». Da allora, mai nemmeno un armistizio, ma un duello combattuto
in ogni luogo, con ogni arma e con ogni mezzo.
Naturalmente, le
ragioni della durissima contrapposizione che sta segnando l’intera
legislatura non sono né caratteriali né passeggere: infatti, messo come è
messo oggi il panorama politico (intendiamo le forze in campo e il loro
peso), Renzi scorge in Grillo l’ultimo ostacolo all’assunzione di un
potere ancor più pieno e Grillo vede in Renzi la novità dell’ultima ora
capace di sbarrargli il passo verso successi elettorali ancor maggiori.
Si
tratta di valutazioni non errate, che determinano - però - la classica
situazione nella quale (complice anche la nuova legge elettorale) patti e
alleanze non sono possibili: e l’interminabile duello, dunque, non
potrà che concludersi con uno sconfitto ed un vincitore. Il tempo e i
luoghi nei quali si deciderà lo scontro sono ormai del tutto noti: il
voto amministrativo di questa primavera, il referendum costituzionale
del prossimo autunno e le elezioni politiche del 2018, o magari un anno
prima.
Se da qui ad allora - e la prima tappa è ormai vicinissima -
il centrodestra non dovesse trovare un assetto e dei candidati
convincenti, la sfida per la primazia (nelle città e per la guida del
Paese) non potrà che essere tra Pd e M5S: dunque, tra Matteo e Beppe,
più precisamente. E’ per questo che la guerra senza quartiere ingaggiata
dai due leader è inevitabile, da un lato, e decisiva per il futuro del
Paese, dall’altro.
In questa sorta di scontro continuo ieri Renzi
ha però segnato un punto: il suo candidato alle primarie milanesi,
Giuseppe Sala, ha vinto la sfida conquistando sul campo i galloni di
candidato-sindaco del centrosinistra. Non sappiamo quanti cinesi hanno
votato per lui: ma con malizia qualcuno giura che sono stati di certo
più dei 300 (italiani) che hanno scelto Patrizia Bedori come candidata
del Movimento Cinque Stelle. Trecento in tutto, non trecento su diverse
decine di migliaia.