La Stampa 8.2.16
“Emergenza immigrati, il Sud reagisce meglio”
Parla
il meridionalista Isaia Sales: “Con il suo passato di emigrazione il
Mezzogiorno ha maturato una maggiore tolleranza e capacità di
assorbimento”
di Guido Ruotolo
«Sulle sponde del
Sud moltissimi immigrati hanno trovato forme collettive di appoggio, di
comprensione del loro dramma storico, mentre al Nord, più che la società
nel suo complesso, sono state le singole persone a mostrare umanità».
Chi parla è Isaia Sales, docente di Storia della criminalità organizzata
nel Mezzogiorno d’Italia, all’università Suor Orsola Benincasa di
Napoli.
Professore, vuol dire che nel Sud esiste un modello di
integrazione tra popoli e culture diverse che non c’è nel resto del
Paese?
«Il tema dell’immigrazione è complesso, ma in linea di
massima non si esagera nel dire che il Mezzogiorno ha mostrato verso il
fenomeno dell’immigrazione di massa una tolleranza e una sopportazione
più alte rispetto ad altre aree del Paese, ha fatto registrare un
impatto meno respingente, una capacità di assorbimento delle
conseguenze, in definitiva una potenzialità di integrazione maggiore.
Non dappertutto e non sempre, ma la tendenza mi sembra questa».
Anche
nel Sud ci sono stati episodi di tensione. A Cerignola e nella
Capitanata i caporali, spesso maghrebini, pagando al nero e a cottimo i
«clandestini» vanificavano gli accordi stagionali strappati dalle leghe
contadine, creando tensioni sociali. A Rosarno, nel gennaio del 2009, ci
sono state manifestazioni di protesta violente.
«Più che di
intolleranza razziale si è trattato di veri e propri conflitti nel
mercato del lavoro. Dopo anni di mancato conflitto nelle campagne, i
caporali e gli imprenditori agricoli si sono trovati di fronte a una
rivendicazione di diritti, di maggiore salario e soprattutto di più
umane condizioni di lavoro: richieste per loro insopportabili, avendo
basato da anni la loro capacità concorrenziale proprio sui più bassi
costi realizzati utilizzando manodopera immigrata. Scomparso il vecchio
bracciantato, registrata l’indisponibilità di giovani a fare i mestieri
dei loro padri e nonni, l’agricoltura meridionale è ridiventata
concorrenziale grazie al lavoro degli immigrati e oggi è seconda solo
alla Spagna in alcune produzioni ortofrutticole».
Se pensiamo agli
sbarchi in Puglia o a Lampedusa e sulle coste calabresi, dovremmo dire
che il Sud è terra di transito dei migranti. Ma leggendo le statistiche,
nel Sud si sono insediati 630.000 e passa stranieri. Sono integrati?
«Il
Sud si trova in questa particolare situazione storica: è stato per un
secolo e mezzo terra di emigrazione, e lo è ancora oggi, ma al tempo
stesso è terra di immigrazione. È terra di transito per ragioni di
vicinanza geografica dai luoghi da cui si fugge, e al tempo stesso è
luogo di insediamento stabile. Diminuiscono gli immigrati di passaggio e
aumentano quelli stanziali. In Campania siamo ormai a più di 200 mila,
il 4,1% del totale italiano, quattro volte in più di quello che avveniva
solo dieci anni fa. Stessa cosa per la Sicilia e per la Puglia. C’è chi
va via dal Sud, soprattutto giovani diplomati e laureati (e sono ancora
tanti) e chi viene a viverci da altre parti del mondo. Vanno via i
giovani meridionali e sono venuti a viverci giovani africani e
dell’Europa dell’Est. Il Meridione è diventato così un crocevia
migratorio.
«L’immigrazione di massa anche stanziale, che pure il
Sud sta conoscendo, è un’assoluta novità. Unico precedente storico è
l’accoglienza delle comunità greche e albanesi scappate dalla
conversione all’islam e ospitate in tante realtà meridionali diversi
secoli fa. A queste novità migratorie i meridionali hanno indubbiamente
reagito meglio, perché il fenomeno - sebbene notevole - non è ai livelli
delle regioni del Centro-Nord, ma anche perché le popolazioni del Sud
hanno nella loro storia una secolare abitudine a lasciare le proprie
case e i propri affetti, e credo perciò che abbiano maturato una
comprensione umana più forte per le ragioni di chi è costretto ad andare
via dai luoghi che ama. Nel Nord l’immigrazione storica è stata
accettata per via dell’utilità alla propria economia ma mai
immedesimandosi nelle ragioni umane di chi è costretto a trasferirsi».
Perché al Nord sono esplosi fenomeni di razzismo?
«Il
razzismo nel passato era mitigato dalla comune consapevolezza di un
prezzo pagato all’accumulazione di benessere collettivo a cui
partecipavano gli immigrati. Fastidiosi ma utili. Quando è venuto meno
questo convincimento, in gran parte per la crisi di quel modello
economico e produttivo che accompagna il caso italiano da un ventennio,
il razzismo non ha trovato più forme di mitigazione, di razionalità
economica. Manca nel Nord un grande fattore giustificativo dei disagi al
di là di quello economico. Al Sud invece, tranne che in alcuni settori
agricoli, la presenza stabile di immigrati era ed è accettata di più
perché si muove all’interno delle famiglie, dove è chiaro che il grande
ruolo delle badanti ha consentito forme più moderne di vivere i rapporti
con i vecchi».
Non possiamo non parlare anche del rapporto tra immigrazione e criminalità.
«L’immigrazione
porta con sé inevitabilmente violenza o il tentativo di integrarsi per
via delinquenziale, come negli Usa tra fine ’800 e metà ’900. In gran
parte si tratta da noi di reati predatori, non di una capacità di
controllare settori economici legali per via criminale, come avviene per
le nostre mafie. Non è in ogni caso dimostrabile un rapporto organico
tra mafie meridionali e immigrati. Molti reati predatori vedono ancora
protagonisti delinquenti italiani».
Il Mezzogiorno può diventare un modello di riferimento anche per il resto del Paese?
«Indubbiamente,
non c’è un investimento politico sul rifiuto dell’immigrato e ciò rende
in questo campo il Sud più interessante culturalmente e civilmente del
Nord. Uno dei pochi campi in cui una certa “diversità” meridionale può
essere usata, se non come modello, almeno come possibile linea di
condotta per questioni complesse. In questo campo il Sud ha mostrato
verso l’immigrazione qualcosa in più della mera convenienza economica.
Ci sono oggi diverse realtà dell’Appennino meridionale dove il problema
dello spopolamento si sta in parte risolvendo grazie agli immigrati.
Paesi quasi morti stanno rivivendo grazie a queste forma di
integrazione. In tutto ciò ci sarebbe tanto da investire».