La Stampa 22.2.16
Tra Benigni e Mosè non mettere Dario Fo
di Lea Luzzati
L’equazione
non fa una piega. Per via del vitello d’oro Mosè ordinò l’esecuzione di
donne e bambini (a dire la verità Esodo parla di «uomini») e per ovvia
conseguenza gli ebrei usano «la loro brutalità contro chi segue altre
religioni». Il semplice ragionamento si articola in una intervista che
Dario Fo ha rilasciato a Repubblica, quasi alla vigilia dei suoi più che
rispettabili novant’anni. Benigni lo ha deluso, spiega, perché parlando
dei Dieci Comandamenti si è ben guardato dallo stigmatizzare le
nefandezze di Mosè, trasformandosi così nel «beatificatore» degli ebrei
che impunemente tace sulle loro brutalità di oggigiorno.
Che
peccato. S’intende, non quello dei figli d’Israele che, mentre il loro
leader sta sul Sinai a incidere la Legge nella pietra, si fanno un idolo
d’oro. E neanche quello di Mosè che viene colto da un attacco di
collera quando li vede, tanto che persino il Signore cerca invano di
placarlo. Non che questi due peccati siano trascurabili, anzi. Ma stanno
dentro una storia che la tradizione ebraica ha imparato a interpretare e
approfondire, piuttosto che lanciare come fosse un sasso. Il vero
peccato è quello di un uomo del presente incapace di cogliere la
complessità del passato. E a usare la semplicità come il comodo ariete
del pregiudizio più banale: gli ebrei sono sempre gli stessi, da Mosè in
poi. Un po’ brutali assassini intolleranti, un po’ tentacolari
manipolatori della realtà, capaci di portare alla loro causa anche un
comico caustico e «spietato» (ma quando mai?) come Benigni.
L’equazione
di Dario Fo racchiude il più trito paradigma dello stereotipo che fa
del popolo ebraico un improbabile miscuglio di potere e meschinità. E
allora, al venerando «laureato», un timido consiglio - leggersi un poco
di Bibbia a tempo perso - e un ancor più timido augurio, date le
circostanze: quello ebraico tradizionale che con Ad meah veesrim («Fino a
cento e venti», nel senso di anni) sigla i compleanni con l’auspicio di
arrivare all’età del nostro caro, vecchio (a volte un poco bisbetico)
Mosè.