La Stampa 10.2.16
E Sanders accende la nostalgia dei gloriosi Anni 60 in Israele
Rivelato il kibbutz dove il democratico era andato volontario
di Giordano Stabile
Bernie
Sanders, il candidato democratico dichiaratamente socialista che
insidia la favorita Hillary Clinton, accende la nostalgia in Israele per
«i bei tempi andati» quando il Paese era «il cocco» di gran parte del
mondo per il «suo fresco, pioneristico spirito e il suo idealismo». Per
lo meno in quella parte di Israele ancora legata allo spirito dei
kibbutz degli Anni 60.
Sanders ha solleticato i ricordi quando ha
citato in una intervista tv il suo passato di giovane volontario proprio
in un kibbutz socialista, quand’era poco più che ventenne,
cinquant’anni fa. Ma non ha voluto rivelare il nome del kibbutz. I
cronisti americani si sono scatenati alla ricerca e la risposta è
arrivata da un veterano collega israeliano, ora editorialista del
«Jerusalem Post», Yossi Melman. Si tratta del Sha’ar Ha’amakim,
insediato in Israele nel 1935, e attivo ancora oggi. A dire il vero i
vecchi pionieri, interpellati, «non si ricordano del giovane Sanders».
Melman,
però, si è ricordato di un’intervista a Sanders del 1990, quando era
candidato al Congresso per lo Stato del Vermont. Anche allora aveva
parlato del suo passaggio al kibbutz e ne aveva fatto il nome. Melman è
andato negli archivi del suo ex giornale, «Haaretz», ha ritrovato la
pagina e ha twittato il tutto. Un’operazione che gli è valsa i suoi «15
minuti di celebrità», come ha commentato ieri con autoironia sul
«Jerusalem Post».
Scoprire il kibbutz di Sanders era diventato un
affare di Stato anche in Israele. Il Kibbutz Movement aveva lanciato una
campagna su Facebook per trovare testimonianze su dove era stato il
candidato democratico e aveva postato una sua vecchia foto con in testa
il tradizionale cappello «tembel». Era cominciato anche il complottismo,
con commentatori, come Naomi Zeveloff su «Fowardabout», che si
chiedevano «il perché» di tanta reticenza.
L’articolo di Melman
del 1990 spiega in parte il perché. Si intitolava «Il primo socialista» e
rivelava che Sanders aveva visitato Israele ospite di Hashomer Hatzair,
un movimento giovanile ebraico dagli ideali socialisti, e aveva passato
un po’ di tempo nel kibbutz Sha’ar Ha’amakim, per poi tornare negli
Stati Uniti e «dimenticarsi di Israele, il sionismo e il giudaismo».
Non
del tutto. Melman ricorda che era stato attratto non tanto dalle
origini ebraiche di Sanders ma dal suo dichiararsi «un socialista
orgoglioso». E nell’America post-reaganiana del 1990 ci voleva «un bel
coraggio». Nell’intervista, però, Sanders aveva affrontato anche temi
sensibilissimi, come i rapporti Usa-Israele e la questione palestinese.
Con la sua solita nettezza.
«Come ebreo - diceva Sanders nel 1990 -
mi vergogno della vendita da parte di Israele di armi ai peggiori
regimi del Centro e Sud America. Perché dovete essere i mercenari degli
Stati Uniti?». E sul conflitto con i palestinesi sosteneva che l’America
«doveva fare pressione su Israele» perché accettasse un compromesso.
Affermazioni
che ora potrebbero ritorcersi contro Sanders in settori della comunità
ebraica statunitense. Melman però sottolinea che «nonostante tutte le
sue critiche non l’ho mai sentito definirsi anti-Israele o
anti-sionista». Anche perché è la stessa biografia di Sanders a
testimoniarlo. Il lavoro nel kibbutz, sottolinea Melman, «è un’impronta
decisiva nella sua biografia».
L’esperienza nelle comunità
agricole era un rito di passaggio per i giovani ebrei americani e
apparteneva a un’era che vedeva «migliaia di giovani venire da tutto il
mondo per lavorare, fumare, fare la loro rivoluzione sessuale». Quando
Israele era «il cocco» di gran parte del mondo per il «suo fresco,
pionieristico spirito e il suo idealismo». Quei giorni, conclude Melman,
«sono andati».