Il Sole 2.2.16
Europarlamento in pressing sulla Cina
Maggioranza sempre più consistente contro la concessione dello status di economia di mercato
di Beda Romano
BRUXELLES
 È sempre più acceso il dibattito sulla possibilità di concedere lo 
status di economia di mercato alla Cina. La Commissione europea, a cui 
spetta fare nei prossimi mesi una proposta al Consiglio europeo e al 
Parlamento europeo, sta valutando il da farsi. Parlando ieri sera 
dinanzi all’assemblea parlamentare a Strasburgo, la commissaria al 
Commercio, la danese Cecilia Malmström, ha confermato che l’esecutivo 
comunitario sta studiando attentamente tre diverse opzioni.
«In 
ballo non c’è un giudizio sul fatto se la Cina sia una economia di 
mercato o meno. Sulla base della nostra visione non lo è – ha detto la 
signora Malmström –. Piuttosto in ballo c’è se è necessario modificare 
le nostre difese commerciali. Tre sono le opzioni. Possiamo lasciare le 
cose così come sono (…). Possiamo modificare lo status, e ciò avrebbe 
effetti dannosi da un punto di vista economico e sarebbe politicamente 
irrealistico. Oppure possiamo trovare soluzioni con misure che mitigano 
l’eventuale impatto».
Il protocollo d’ingresso della Cina 
nell’Organizzazione mondiale del Commercio, risalente al 2001, prevede 
che dopo 15 anni da quella data i partner della Cina debbano valutare se
 modificare lo status di Pechino. Poiché la concessione dello status di 
economia di mercato alla Cina comporterebbe giuridicamente un 
allentamento delle difese commerciali europee nei confronti dei prodotti
 cinesi, il timore di molti è che i mercati europei siano invasi da 
merce a basso costo.
In questi giorni, preoccupati si sono detti 
esponenti sia dei Popolari che dei Socialisti. Citando un primo studio 
preliminare preparato dalla stessa Commissione europea, la signora 
Malmström ha spiegato che scenari radicali prospettano la perdita di 
210mila posti di lavoro, in assenza di misure mitiganti: «Le nostre 
stime sono assai più basse di quelle formulate da alcuni centri di 
ricerca». La commissaria ha annunciato che Bruxelles sta preparando un 
vero e proprio studio d’impatto.
Nei giorni scorsi, si è tenuto 
qui a Bruxelles un convegno organizzato dal Parlamento europeo. Robert 
Scott, un ricercatore dell’Economic Policy Institute, è tornato sulla 
questione, con nuovi dati ancor più preoccupanti rispetto a quelli 
dell’estate scorsa quando pubblicò una ricerca sponsorizzata da Aegis, 
una organizzazione europea che rappresenta 25 settori industriali e che 
sta dando battaglia contro la concessione alla Cina dello status di 
economia di mercato.
«Rispetto alla ricerca precedente – ha 
spiegato in una conversazione nei giorni scorsi lo stesso Scott, 
capofila degli economisti più preoccupati – nuovi dati dimostrano già 
oggi che l’attivo commerciale cinese è destinato a crescere enormemente 
nei prossimi anni. Nei fatti, il Paese sta esportando disoccupazione nel
 resto del mondo. In questa seconda analisi, rispetto a quella 
dell’estate scorsa, uso due diversi modelli per valutare le eventuali 
conseguenze di una scelta positiva nei confronti della Cina».
Secondo
 statistiche dell’Organizzazione mondiale del commercio, l’attivo 
commerciale cinese nel solo settore manifatturiero è salito da 531 
miliardi di euro nel 2010 a 933 miliardi di euro nel 2014. Scott è 
criticato da alcuni economisti perché i suoi modelli non si basano né 
sulla piena occupazione né sul commercio equilibrato, come avviene di 
solito nei calcoli economici. «Questi due fattori – risponde il 
ricercatore americano - non possono essere parte del mio modello 
semplicemente perché non esistono nella realtà».
Nello specifico, 
Scott prevede che la concessione dello status comporterebbe la perdita 
di 1,7-3,5 milioni di posti di lavoro su un periodo di tre-cinque anni. 
Il Paese più colpito sarebbe la Germania, seguito dall’Italia 
(208.100-416.200 i posti di lavoro a rischio). Alcuni settori sarebbero 
colpiti più di altri: parti meccaniche di veicoli, prodotti di carta, 
acciaio, ceramica, vetro, alluminio, biciclette. Nel valutare la scelta,
 la Commissione, così come i Ventotto e il Parlamento, dovranno 
considerare anche le eventuali ripercussioni politiche.
 
