martedì 23 febbraio 2016

Il Sole 23.2.16
Due anni dopo Renzi, nel Pd si apre il cantiere dei candidati alternativi
di Lina Palmerini


Non è ancora chiaro come verrà costruita la candidatura alla segreteria Pd di Enrico Rossi ma un merito – intanto – ce l’ha. Ed è che ieri, con il suo annuncio, ha rotto il ghiaccio e ha ufficialmente messo nel partito una alternativa alla leadership di Matteo Renzi. Perché in questi giorni di bilancio sui due anni del premier - e delle alterne vicende del suo Governo - va fatto pure un bilancio di chi gli ha fatto opposizione e di come l’ha organizzata, soprattutto dentro il Pd.
La storia comincia con la minoranza che – dopo una direzione di partito - gli apre la strada per Palazzo Chigi ma da quel giorno molte cose gli sono state messe nel conto: Italicum, Jobs act, riforma della scuola, ultima legge di stabilità con il taglio alla tassa sulla casa, riforma del Senato. Tanti posizionamenti, sconfitte e mediazioni, ma dopo due anni dovrebbero essere mature le condizioni per far scendere in campo chi lo sfiderà alle primarie. E in effetti sembra che nel meeting di tre giorni organizzato a Perugia, dall’11 al 13 marzo, la minoranza del partito potrebbe lanciare Roberto Speranza verso la corsa congressuale. E cominciare a giocare una partita politica non solo in Parlamento ma nel Paese e tra le altre forze. Che è esattamente il passaggio che manca. Nel senso che non basta far mancare i numeri alla Camera o al Senato, come è accaduto su alcuni provvedimenti in questi due anni, ma la sfida è di trovarli - i numeri - nella società e nel partito delineando in modo chiaro quello che oggi non si capisce.
Perché tra i vantaggi del premier nel non avere avuto un anti-Renzi, è che questo gli ha consentito un margine di ambiguità o volubilità su alcune posizioni. Sull’Europa, per esempio. Il fatto di non avere nel partito una posizione netta e strutturata su quali proposte fare, a chi farle, quali alleanze costruire, a chi dire no e a chi dire sì, ha permesso che in questi due anni oscillasse da un’inclinazione tedesca a una anti-tedesca. Il punto, insomma, è che le politiche si definiscono anche in relazione a quelle dell’avversario o del competitor ma Renzi, su alcuni dossier, si è trovato davanti a un mare aperto. Con una minoranza che l’ha incalzato a strappi, su alcune leggi, ma che non ha costruito una posizione politica organica.
E quindi l’annuncio di ieri di Enrico Rossi di candidarsi – anche se alcuni nel partito maliziosamente dicono che è almeno il terzo – è forse l’avvio di una nuova fase in un partito che comunque tra un anno farà le primarie. Se non sarà prima. Resta, infatti, l’ipotesi di voto anticipato o di un congresso anticipato dopo il referendum costituzionale di ottobre. In sostanza, tutto comincia ad allinearsi verso una scadenza di 12 mesi - o forse meno - e per questo è più che attesa la convention della minoranza dell’11 marzo.
Che Roberto Speranza lanci o meno la sua personale candidatura, l’obiettivo è che si veda meglio il profilo politico dell’alternativa a Renzi. Che, per esempio, non sarà sul “no” al referendum sulla riforma costituzionale – votata anche dalla minoranza – ma che sarà un “sì” a quello sulle trivelle. E soprattutto si dovrà vedere meglio il menù su economia ed Europa visto che la piattaforma sociale della sinistra non sposa il rigore di scuola tedesca. Nel mirino ci sarà – verosimilmente – il Jobs act, si parlerà di redistribuzione e di reddito minimo: temi cruciali in un Pd che si sta trasformando e potrebbe trasformarsi ancora ma non si capisce bene come. Dopo due anni di Governo, anche per gli avversari è tempo di bilanci. E di proporre un anti-Renzi che non sia solo in grado di condizionare il premier ma che lo costringa a precisare i contorni della sua proposta di partito e al partito.