Il Sole 23.2.16
La riforma costituzionale
L’iter legislativo e il Senato ridimensionato
di Giuseppe Franco Ferrari
Il
Senato nella versione revisionata dal ddl Boschi presenta molti profili
di interesse anche dal punto di vista delle funzioni, e in particolare
della dinamica del procedimento legislativo. L’iter di formazione della
legge ha assunto infatti profili di particolare complessità, rispetto al
modello del 1948.
Anzi tutto, l’elenco delle materie in cui il
bicameralismo perfetto è stato mantenuto si è ampliato rispetto alla
versione originaria. La necessità della approvazione paritetica di
Camera e Senato sopravvive in una lunga serie di casi. Non è facile
individuarne il filo comune, ma l’elencazione può aiutare. In primo
luogo, l’eguale consenso delle Camere occorre per leggi di revisione
costituzionale, leggi costituzionali, leggi attuative di disposizioni
costituzionali in materia di minoranze linguistiche: qui il nesso è
riconducibile alla necessità di rispettare il procedimento aggravato
dell’art.138 per modificare l’impianto della Costituzione. In secondo
luogo, vi è una serie di materie che attengono alla forma di governo,
come il referendum. In terzo luogo, tutta la normativa che attiene alle
autonomie locali: scelta logica alla luce della composizione della
seconda Camera, pensata per valorizzare il ruolo di Regioni e Comuni
nella produzione normativa. Infine, la disciplina della partecipazione
dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle
politiche dell’Unione Europea: si tratta del tentativo di rivitalizzare
il ruolo dell’Italia attraverso un maggiore attivismo degli enti
territoriali, spesso destinatari delle misure ma troppo passivi nel
cogliere opportunità finanziarie e di sviluppo.
Al di fuori
dell’ambito del procedimento bicamerale paritario, si apre un ventaglio
di ipotesi che si innestano su un meccanismo base. Tutti i ddl approvati
dalla Camera vengono trasmessi immediatamente al Senato, che può fare a
meno di esaminarlo, nel qual caso il Presidente della Repubblica può
fare luogo alla proclamazione. Un terzo dei suoi membri può tuttavia
richiedere di esaminarlo e il Senato può decidere di farlo entro 10
giorni, nel qual caso ha a disposizione 30 giorni per deliberare
emendamenti. Se però lascia decorrere tale termine senza completare
l’approvazione di proposte modificative, egualmente può farsi luogo alla
proclamazione. Nel caso in cui le modificazioni al testo della Camera
siano varate nel termine, la Camera si pronuncia in via definitiva anche
a maggioranza semplice; ove le proposte senatoriali siano rigettate in
tutto o in parte, l’iter si chiude e il Senato non ha più voce in
capitolo.
Nella sola ipotesi di ddl finalizzati a intervenire in
materie riservate alle Regioni per motivi di interesse nazionale
variamente atteggiati, le rispettive maggioranze vengono aggravate. Al
Senato è richiesto infatti di deliberare a maggioranza assoluta, ma
anche la Camera può disattenderne le indicazioni a maggioranza assoluta
nel voto finale. La linea di divisione delle competenze tra Stato e
Regioni viene così garantita da maggioranze qualificate. L’ipotesi non
pare destinata a essere particolarmente frequente, visto che di solito
l’invasione di ambiti regionali avviene in forma inavvertita o implicita
e non per mezzo di una dichiarazione espressa, che pare riservata a
condizioni di estrema emergenza economica o giuridica. Comunque, si
tratta di una specie di contesto di chiusura, che contiene il criterio
di soluzione di una vera e propria emergenza dell’ordinamento. Infine,
in materia di bilancio, il termine a disposizione del Senato per
proporre modificazioni è dimezzato a 15 giorni.
In sintesi, i
percorsi base del procedimento legislativo sono 4, ma le ipotesi
procedurali che possono verificarsi sono una decina. Il ruolo del Senato
ne esce ridimensionato, ma a prezzo di una notevole dose di
complicatezza procedurale.
Naturalmente un sistema politico
robusto può sopportare qualche dose di aggravamento procedurale, specie
se finalizzata ad obiettivi di semplificazione. Basti pensare, ad
esempio, alla evoluzione del rapporto tra Comuni e Lords in Gran
Bretagna dal 1911 al 2005. La svolta impressa alle nostre istituzioni ha
però luogo in un unico passaggio, che coinvolge sia la forma di governo
ed il bicameralismo che la forma di Stato ed il rapporto tra le
autonomie territoriali e la sintesi statale. Rimane da vedere, quindi,
in primo luogo come l’insieme della riforma verrà assorbito: un
procedimento legislativo più breve può essere compatibile con
complicazioni, se non rare, almeno sporadiche. La semplificazione
tuttavia non basta. Occorre che le istituzioni ricevano nuovo impulso e
stimolo ad un funzionamento più efficace. E soprattutto serve che la
conformazione e il funzionamento del nuovo Parlamento contribuiscano a
riavvicinare i cittadini alla politica. Questo però è il risultato più
difficile.