martedì 16 febbraio 2016

Il Sole  16.2.16
Siria
Un popolo nella morsa delle potenze in campo
di Alberto Negri

Per anni i turchi e i sauditi non hanno mai detto una parola contro il Califfato che decapitava siriani e iracheni, e ora che i gruppi jihadisti da loro appoggiati stanno perdendo gridano contro i crimini di guerra della Russia e di Damasco. Continua pagina 21
Continua da pagina 1 Quelle dell’Isis, che ha attuato una pulizia etnica e settaria spietata, dovevano essere carezze. Si scopre adesso che la guerra è soprattutto contro i civili, che per altro sono stati tenuti in ostaggio per anni dalle forze in campo come accade da decenni in tutti i conflitti, dai Balcani al Medio Oriente all'Africa.
La Russia è intervenuta a salvare il regime siriano il 30 settembre 2015 ma nei cinque anni precedenti è accaduto qualcosa che gli Usa, la Turchia e le monarchie del Golfo insistono a ignorare: hanno sbagliato tragicamente i calcoli pensando di abbattere Assad con il terrorismo e la guerriglia. E adesso non sanno come giustificare i loro proclami: neppure gli Stati Uniti, che avevano lasciato via libera all’ondata jihadista, sanno come venirne fuori in un anno di campagna elettorale.
La Russia usa la mano pesante, la stessa che ha adoperato in Cecenia, radendo al suolo Grozny e qualche decennio prima i villaggi dell’Afghanistan. Viene accusata di usare i profughi per destabilizzare la Turchia: probabilmente è vero. Fa parte dell’orrore di questo conflitto in cui Ankara pensava a sua volta di manovrare i rifugiati contro il regime di Damasco. Qui non ci sono angeli ma soltanto demoni.
Il popolo siriano è rimasto stritolato nella morsa delle contrastanti ambizioni dei protagonisti. Assad e gli alauiti per restare in sella e salvare la pelle non hanno esitato a compiere stragi e massacri. La Turchia di Erdogan facendo passare migliaia di jihadisti non solo intendeva far fuori il regime siriano ma mettere le mani su Aleppo e anche su Mosul, magari attraverso un accordo con il Califfo al-Baghdadi, che avrebbe potuto facilmente colpire solo se l’avesse voluto. Per non parlare dell’obiettivo principale dei turchi: eliminare i curdi siriani. Delle potenze in campo è sicuramente quella ha più da temere perché una sconfitta potrebbe significare un cambiamento epocale nei rapporti di forza alle sue frontiere.
L’Arabia sta diventando un caso clinico di delirio di onnipotenza wahabita. Gli Usa le hanno dato via libera per impadronirsi dello Yemen e i sauditi si sono impantanati nel cortile di casa in una guerra contro gli sciiti Houti. Bombardano i civili a tutto spiano ma nessuno dice una parola. Non contenti i sauditi vogliono mettere gli stivali sul terreno in Siria per mostrare al mondo sunnita che i custodi della Mecca sono gli autentici portabandiera della guerra all’Iran: che è il vero motivo di questo conflitto per procura siriano, cioè contenere l’influenza di Teheran. Già rischiano i turchi ma immaginare soldati sauditi che occupano parte della Siria o dell’Iraq appare impensabile. Se entrano non ne usciranno fuori e gli Usa lo sanno perfettamente.
Il problema lo hanno creato gli Stati Uniti nel 2003 frantumando l’Iraq e loro devono risolverlo. Non hanno espresso una chiara intenzione di farlo e adesso non riescono a gestire i disastri provocati fomentando in Siria una guerra per procura insieme a inefficaci e inaffidabili potenze sunnite. Le contraddizioni Usa stanno diventando esplosive. In Iraq le milizie sciite addestrate dalla Cia sono al fianco degli Stati Uniti contro l’Isis, in Siria invece combattono contro le milizie appoggiate dagli americani. Quelle milizie che secondo la strategia Usa avrebbero dovuto liberare le città irachene sono le stesse su cui oggi puntano i russi per riprendere Aleppo.
La Russia si è infilata in Siria approfittando delle indecisioni di Obama: nel 2013 voleva bombardare Assad, poi ha preferito seguire la politica del “contenimento” e ora se interviene deve scontrarsi con Mosca. Da questo punto di vista Obama e Kerry, come scrive anche il Wall Street Journal, sono meno credibili di Putin e questo è stato percepito da tutto il mondo occidentale e da quello musulmano. In gioco qui non c’è soltanto una tregua ma una guerra ancora più ampia e devastante.